Da quando la musica si è affrancata dai rigidi confini dei microsolchi, analogici o digitali che dir si voglia, e viaggia spesso (più o meno) libera nelle trafficate autostrade della
Rete, può capitare che il materiale promozionale relativo ad uno dei tuoi gruppi preferiti finisca per smarrirsi e che un suo recupero in forma “fisica” (e non sarà l’unico, quindi preparatevi …), insperato e graditissimo, ti consenta, sebbene tardivamente, di esprimere tutto il tuo entusiasmo di stagionato
rockofilo, sfruttando il ruolo privilegiato di
writer di una nota
webzine, nello specifico la più
gloriosa del convulso panorama
internet-iano.
Ed ecco che questa recensione dell’ultimo disco degli
House of Lords appare verosimilmente più una
necessità del sottoscritto che un esercizio (in qualche modo) divulgativo, perché sono certo che i
fans della
band statunitense sono ormai parecchi mesi che consumano “Precious metal”, traendone un enorme beneficio emozionale ad ogni contatto.
Difficile, infatti, contenere l’euforia quando la voce di James Christian raggiunge vette interpretative così vertiginose, quando la chitarra di Jimi Bell è tanto ispirata da non sbagliare una nota e quando le trame paradisiache che hanno reso il gruppo uno dei riferimenti assoluti dell’
hard de-luxe sprigionano uno slancio e un vigore espressivo tanto convincenti.
Una coordinazione tra perizia tecnica e competenza compositiva che, in realtà, non è mai mancata nella storia, anche in quella recente, del nobile casato, e che tuttavia oggi appare pressoché perfetta negli equilibri tra incisività e magniloquenza, tra melodia e grinta, forte di una scrittura sempre focalizzata ed emozionante, davvero degna di un percorso artistico marchiato da una classe innata e ciononostante non sempre a questi livelli di efficacia sensoriale.
La tentazione di un minuzioso
track-by-track, come di consueto, è forte, eppure (e per le ragioni di cui sopra …) ve lo risparmierò, limitandomi ad affermare che un albo in grado di sfoggiare simultaneamente gioielli di sontuosa virilità come “Battle”, “Epic” e “Action”, meraviglie di cristallina passionalità del calibro di “Live every day (like it’s the last)”, “Precious metal” e "Enemy mine” (un classico
family affair, realizzato con il contributo di Robin Beck, da valutare una delle ballate dell’anno!),
hard-numbers rocciosi e istintivi come l’Aerosmith-
esque “Permission to die”, “Swimmin’ with the sharks”, “Raw” e “Turn back the tide”, completando poi lo scrigno sonoro con un brillante episodio di
pomp-glam (!) intitolato “You might just save my life”, merita in pieno l’appellativo di “metallo prezioso” e consente ai grifoni che dominano l’aristocratico stemma araldico degli House Of Lords di volare agili nel loro
habitat naturale, ovverosia le zone più alte della stratosfera del
rock melodico.
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