Aurea mediocritas.
Tale espressione, presa in prestito da un’ode del savio
Orazio, descrive l’atteggiamento di chi accetta passivamente la propria condizione, spogliandosi così di qualsivoglia brama di grandezza o spinta al miglioramento.
Non si può negare che i
Krieg, in passato, abbiano tentato con pervicacia di abbandonare lo status di band di seconda fascia, da un lato smuovendo il mercato con un numero impressionante di split, EP e full length, e dall’altro evolvendo il sound dal raw black degli esordi sino agli ottimi
Blue Miasma (2006) e
The Isolationist (2010), platter in cui gli statunitensi parevano aver infine tirato fuori il coniglio dal cilindro…
Com’è andata?
Beh, è presto detto: quanti di voi hanno ascoltato/acquistato quei dischi? Quanti hanno mai nominato i
Krieg nelle loro discussioni metalliche da pub? Quanti attendono con vivo senso di trepidazione il nuovo cd?
Ecco, ci siamo capiti.
Veder cadere nel tetro oblio dell’indifferenza l’ennesimo parto discografico deve aver condotto il combo capitanato da
Imperial (aka
Neil Jameson) a comprendere che il treno di prima classe, ormai, è passato.
Presumo che proprio questa dolente accettazione di un destino cinico e baro abbia spinto i Nostri, col nuovo
Transient (
nomen omen…) a buttarla definitivamente in vacca (traduzione moderna della locuzione latina sopra citata), dando vita ad un lavoro che non esito a definire avvilente.
Partiamo, per levarci il pensiero, dalle note liete: qualche sporadico riff black’n’roll di scuola
Satyricon, le venature malinconiche che aprono
Walk With Them Unnoticed, la discreta cover di
Winter degli
Amebix… e basta.
Già: tutto il resto, per quel che mi riguarda, non va affatto.
Confusionario, arruffone, insicuro sulla direzione da prendere,
Transient è un lavoro che manca di qualità, songwriting e ispirazione; un lavoro che butta idee scarse a casaccio lungo l’arco dei suoi interminabili 57 minuti; un lavoro che nasce sconfitto e che non ha l’occhio della tigre (riposa in pace
Jimi Jamison, ti voglio bene), in cui suoni osceni afflosciano ancor più composizioni imbarazzanti come
Atlas With a Broken Arm -un’accozzaglia senza senso-,
Time –un assalto alla cieca, che di conseguenza manca il bersaglio in modo clamoroso- o
Home -ovvero: quando il minimalismo sperimentale si tramuta in noia pura-.
Spiace esser così duri, eppure il mio dovere di recensore impone di indirizzare i potenziali acquirenti verso mete sicure, soprattutto in un mercato saturo come quello del black metal. Pertanto, non posso che sconsigliare in modo categorico l’ultimo dei
Krieg, band ieri sfortunata e oggi trascurabile.
Anche se il treno di prima classe è passato, siete caldamente pregati di invertire la rotta quanto prima.
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