Ora, so bene che il doom non vanta molti proseliti e che non è una musica per "le masse", ma chi segue col cuore questo genere ha probabilmente sentito parlare dei
Pallbearer, (da non confondere, per via dell'omofonia, con
questo importante personaggio) formazione dell'Arkansas che ha fatto parecchio rumore un paio di anni fa con il debutto
Sorrow and Extinction. Oggi questi quattro ragazzoni tornano con il secondo disco,
Fundations Of Burden, che non solo è un grande album ma un lavoro che va dritto sul podio delle migliori uscite dell'anno.
Ho dovuto attendere un po' di tempo prima di scrivere due righe su questo lavoro perché all'inizio ero tutto un "Uoooh!", "Che figata!", " M_rd_!", pelle d'oca varia e gridolini da bimbomikia assortiti. Ma che ci devo fare se mi emoziono ancora per la buona musica?
Smaltita parte dell'esaltazione iniziale, vi introduco a questo
Fundation Of Burden, un album che ha solamente 6 canzoni per una durata di 55 minuti e, se siete anche solo al mio ignobile livello in matematica, avrete capito che abbiamo davanti pezzi belli lunghi e ben 4 passano i 10 minuti. No, non sono mega composizioni ultra lente, ripetitive, monolitiche e difficili da affrontare ma un mix di
Witchfinder General, Black Sabbath, Pentagram, Trouble, Electric Wizard, Anathema e chissà che altro. Questo miscuglio è sempre vario, curatissimo e soprattutto vivo ed accattivante. Le canzoni cambiano continuamente pelle, gli stati d'animo si susseguono e tu non puoi far altro che viaggiare cullato dalle loro note. A volte si plana in un celo limpido, altre si precipita in un abisso infernale, sempre con classe, con cognizione ed il loro "vintage doom" non è approssimativo o grezzo come l'ondata settantiana degli ultimi anni, è anzi studiato in ogni dettaglio, con arrangiamenti curatissimi ed ogni cosa al giusto posto. Sa di finto? Assolutamente no, è solo un disco realizzato in modo meticoloso e con grande passione ed ispirazione, sempre in bilico tra oscurità e brillante magia. Saltano fuori perfino momenti
Rush o spezzoni
Rainbow, a testimonianza di come i
Pallbearer non si pongano limiti e sappiano, al momento giusto, essere complessi o catchy.
Musicalmente la classe è elevata, sia per quanto riguarda i brillanti assoli sia per il comparto ritmico, mentre la voce è idealmente un ibrido tra quella del
Sig. Osbourne e quella di
Mr. Geddy Lee, perfettamente legata ed incastrata nel loro suono, esaltato da una produzione adeguata e non finto-rustica.
Come sempre, cerco di dare un'idea di quello che abbiamo davanti ma lasciate pure che siano le vostre orecchie a giudicare, prendetevi dieci minuti, premete play qui sotto e volate, dove vi pare, senza rendere conto a nessuno.
Musica senza tempo, musica eterna.