“Space invader” è un disco che ti mette in pace con l’anima, per tutta una serie di motivi. Intanto ascoltandolo sembra di fare un salto negli anni ’80, sia musicalmente, sia per la sua copertina così volutamente retrò, sia per la registrazione vintage, ad opera dello stesso
Ace Frehley, che mette in risalto moltissimo il suono stupendo della sua mitica Gibson Les Paul. Secondo perché, in un periodo in cui il rock e il metal si sono letteralmente snaturati, perdendo in molti casi la loro semplicità e la loro genuinità a favore di mega produzioni patinate ma vuote come un pacchetto di clinex di una dodicenne dopo che ha visto “Titanic”, ascoltare un album sincero come questo “Space invader” non può che far bene, fidatevi. L’essenza del rock anni ’70/’80 è rinchiusa in questi undici brani (dodici, se contiamo anche la cover di “The jocker” della Steve Miller Band, peraltro egregiamente riproposta…), e questo è stato possibile, secondo me, perché a differenza dei suoi ex compagni di merenda (i
Kiss, per chi fosse vissuto su Marte negli ultimi quarant’anni!!!) il buon Ace può permettersi il lusso di incidere dischi per piacere proprio e non per doveri contrattuali. Va da sé che lavorando in questo modo la genuinità della proposta vinca letteralmente sulle richieste di mercato. Con questo non voglio dire che questo sia un album epocale o che l’ultimo lavoro dei Kiss sia una ciofeca, tutt’altro, visto peraltro che “
Monster” è un signor disco… Sto solo cercando di sottolineare l’approccio diverso con il quale è stato concepito, e che ci ha regalato una manciata di brani davvero super, tra i quali figurano senza dubbio “Toys”, “Gimme a feelin’”, la titletrack, “What every girls want”, “Inside the vortex” e “I wanna hold you”, nei quali emerge tutto il talento di Ace, sia attraverso riffoni granitici che trasudano passione, sia, e forse soprattutto, attraverso assoli pregni di gusto, di melodia, di bravura assoluta. E badate bene, non ho parlato volutamente di tecnica, quindi se siete dei masturbatori di chitarre guardate tranquillamente altrove, qui si parla di tutt’altro, qui si parla di feeling, a palate… E poco importa se un paio di episodi minori abbassano la tensione generale (“Past the milky way” o “Immortal pleasure”), perché come ho accennato prima non stiamo parlando di un capolavoro, che in quanto tale deve risultare perfetto, quindi un paio di brani più incolore possiamo perdonarli al buon vecchio Ace. Discorso a parte, invece, merita la conclusiva “Starship”, dove Frehley mette in mostra di nuovo tutte le sue capacità, con un brano strumentale di sette minuti durante i quali ci delizia con assoli di gran classe, arpeggi e soluzioni armoniche che solo i grandi possono tirar fuori. “Space invader” è un disco che a tratti commuove, davvero… e poco importa se spesso fa capolino il classico Kiss-sound… d’altra parte Ace ha o non ha contribuito fattivamente a crearlo? E quindi non vedo dove sia il problema… Sarà sicuramente stato un soggetto complicato, un alcolizzato, un pazzo furioso a bordo delle macchine sportive che ha sempre guidato, ma ciò non toglie che ha sempre avuto un grandissimo dono, quello di emozionarci con la sua chitarra. E continua a farlo tutt’oggi, a sessantatrè anni suonati, a conferma ancora una volta che i musicisti di quella generazione hanno sempre avuto e continuano ad avere una marcia in più…
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