Copertina 8,5

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2004
Durata:46 min.
Etichetta:Relapse
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. BLOOD AND THUNDER
  2. I AM AHAB
  3. SEABEAST
  4. ISLAND
  5. IRON TUSK
  6. MEGALODON
  7. NAKED BURN
  8. AQUA DEMENTIA
  9. HEARTS ALIVE
  10. JOSEPH MERRICK

Line up

  • Brent Hinds: guitar, vocals
  • Bill Kelliher: guitar
  • Troy Sanders: bass, vocals
  • Brann Dailor: drums

Voto medio utenti

Su Eutk si è rischiato di vedere "Leviathan" inserito in diverse poll di fine anno ma di non trovarne traccia nel settore recensioni, caso praticamente unico a livello mondiale. Ho ritenuto fosse indispensabile rimediare alla lacuna, perché siamo forse di fronte alla nascita di un nuovo fenomeno metal, la cui importanza e durata sarà da valutare negli anni a venire.
Per i Mastodon questo è comunque il momento della consacrazione internazionale, probabilmente della fuoriuscita dal limbo degli emergenti underground, dell'abbandono della nicchia frequentata da pochi cultori per infilarsi nel circuito che conta a livello mediatico. Tutto quanto dopo soltanto un Ep ancora infettato di caotica furia hardcore ("Lifesblood") e di un debutto che li vedeva già lanciati verso soluzioni assai più complesse ed originali ("Remission"). L'evoluzione del quartetto Statunitense si completa di fatto con questo straordinario album, che racchiude in sé l'essenza di oltre due decadi di musica metallica.
C'è qualcosa di Voivod-iano nello stile dei Mastodon, in quelle strutture all'apparenza faticosamente assimilabili, nell'uso di componenti quasi progressive associate alla violenza primitiva che animava gli esordi del thrash, e c'è anche l'opprimenza monolitica e priva di respiro delle propaggini sludge, non casuale per una band che leggenda vuole si sia formata durante un concerto degli High on Fire dell'ex-Sleep Matt Pike.
Ciò non parrebbe un segno incoraggiante, visto il riferimento a tre dei gruppi più sottovalutati della storia di questo genere, ma i Mastodon hanno il vantaggio di una maggiore trasversalità, una duttilità musicale che li pone a cavallo di molti filoni e permette loro di legare con elementi completamente differenti, dagli Slayer che li hanno voluti con loro in tour ai Neurosis che hanno prestato Scott Kelly per una comparsata sull'album, dall'area hardcore visto che Dailor e Kelliher sono ex-Today is the Day all'ala dura del movimento stoner vedi le discese in Italia con gente come Dozer e Clutch, anche questi ultimi presenti su "Leviathan" grazie al vocalist Neil Fallon.
Ecco quindi la grande forza di questa formazione, l'aver assorbito influenze da mondi a prima vista inconciliabili ed essersi posti l'obbiettivo, consapevole o meno, di fungere da collante per tali realtà diventando un punto d'intersezione per tante linee stilistiche difformi. Una posizione impegnativa e centrale, che non ha impedito ai quattro di restare fedeli alla non-immagine di gruppo ai margini della scena, evitando la spocchia di chi si autonomina innovatore del metallo.
Eccellenti artigiani heavy, abili a cucire insieme le gelide e complesse nevrosi di Isis, Pelican o degli stessi Neurosis con lo spontaneo calore melodico dei seventies, il chirurgico metal-core del nuovo millennio ed il grezzo thrash ottantiano, i Black Sabbath ed il death, gli Iron Monkey ed i Rush, prendendo spunto dall'analisi del classico "Moby Dick" i Mastodon hanno realizzato un lavoro pieno di idee, d'impatto, di fragore, di rabbia, di tecnica, in sintesi di vero metal, eliminando quasi del tutto l'eccesso di ermeticità che era il maggior difetto del suo predecessore.
Tutt'altro che semplici ma senz'altro più diretti di prima, diversi episodi stupiscono per la loro brutalità essenziale coniugando clamorosi riffs al fulmicotone, quasi prima era Metallica, con strutture ritmiche massicce ed impenetrabili ("Blood and thunder") o per gli scontri titanici tra maestose melodie oscure e laceranti basamenti granitici ("Seabeast","Iron tusk","Naked burn"), ed ancora per le aperture nel muro sonoro con schianti spezzacollo ("Megalodon", l'annichilente "Aqua dementia") che aggiungono potenza e groove agli schemi più intricati. Colpisce nello sviluppo delle canzoni la totale assenza di linearità fortemente voluta, basti vedere il drumming straordinariamente articolato di Dailor, ma senza il minimo accenno delle lungaggini che spesso infestano le opere di metal non puerile, talvolta troppo innamorate della propria cerebralità. In "Leviathan" regna la concisione di chi conosce perfettamente il proprio traguardo e soltanto nel finale la band si concede lo spazio di un epico viaggio, creando un brano ("Hearts alive") capace di gettare un ponte tra la concezione metal di oggi e quella originaria dei primi anni '80.
Tredici minuti di spaventosa intensità, una cavalcata implacabile in un crescendo di potenza drammatica che trova sfogo esplosivo in un limpido assolo puro stile hard rock, ultimo cameo di un album veramente memorabile.
Parlare di capolavoro è probabilmente eccessivo per una band fino a ieri nota solo a pochi intimi, certo però che in campo metal un disco così brillante e ricco d'intuizioni geniali non lo ascoltavo da tempo immemorabile. Per l'ennesima volta è dimostrato che non occorre coprirsi di borchie, teschi e crocifissi per produrre grande musica heavy metal, infatti per chi non lo avesse ancora capito il vero metal è quello dei Mastodon.
L'ascesa continua

Dopo l'ottimo debutto, la band di Atlanta incomincia con Leviathan la ridefinizione delle coordinate di un intero genere, dando una precisa idea di cosa significa fare metal nel XXI secolo, divenendo, non a caso, i capostipiti di quel filone sludge/prog che vedrà in band come Baroness o Kylesa dei buoni interpreti. Lo stile del disco segna uno sviluppo notevole rispetto al debut mettendo a frutto le innumerevoli influenze: Neurosis, Melvins e High on Fire su tutti.

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