Copertina 7

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2018
Durata:55 min.
Etichetta:Code666 Records

Tracklist

  1. HYSTER
  2. SOLACE IN OBLIVION
  3. SPRUNG FROM WEAKNESS
  4. THE SKY IS OUR SHELTER
  5. EARTHBOUND RUINS
  6. THE MEEK'S INHERITANCE

Line up

  • Igor Meira: guitars
  • Luiz Felipe Netto: vocals, guitars
  • Kalki Avatara: drums

Voto medio utenti

Che gli Opeth siano tra le band più originali ed importanti nell'ambito metal degli ultimi 20 anni è fuori discussione, così come è innegabile che la svolta stilistica iniziata con "Heritage" abbia creato una frattura piuttosto netta tra i fan degli svedesi, più o meno equamente divisa tra chi ne apprezza il cambio stilistico e chi invece rimpiage i tempi di "Still Life" o "Blackwater Park". Giustamente vi starete domandando il senso di tale premessa nella recensione dei brasiliani Piah Mater, che se ne escono oggi con il loro secondo full length "The Wandering Dauhgter": il motivo è presto detto, e risiede nel fatto che l'album in questione potrebbe dare un po' di conforto a coloro i quali, come il sottoscritto, guardano agli Opeth odierni storcendo il naso e trovando conforto nella discografia anteriore al 2011 della band svedese. Seppure con le debite proporzioni e senza lanciarci in scomodi paragoni, l'ascolto di questo secondo album dei Piah Mater in più frangenti mi ha riportato alla mente il periodo d'oro in cui Mikael Akerfeldt e soci sfornavano capolavori in grado di fondere magistralmente la furia primigenia del death metal, un gusto melodico decadente e malinconico ed un attitudine progressive che hanno reso la musica della band un amalgama perfetto e unico. "The Wandering Dauhgter" riesce nel suo piccolo a proporre una ricetta più o meno simile, condensando in cinque brani più una intro partiture death metal, scandite dal growl/scream di Luiz Felipe Netto e dalle chitarre distorte, capaci di tessere trame dal flavour progressive, tra cambi di tempo ed atmosfere, e momenti più melodici ed emozionali, con chitarre acustiche a fare da contrappunto alle vocals intime e sofferte di Netto. E' soprattutto in questi momenti che emerge prepotente l'influenza e la somiglianza con gli Opeth (vi sfido a non ripensare a "Blackwater Park" ascoltando ad esempio l'inizio di "The Sky Is Our Shelter" o "The Meek's Inheritance"), sia a livello musicale sia per quanto concerne la timbrica del cantante, quasi un emulo di Akerfledt nelle clean vocals. La proposta musicale dei Piah Mater è quindi piuttosto ricca e variegata, anche ambiziosa se si pensa alla durata media dei brani compresa tra i 7 ed i 15 minuti, ma va dato atto ai brasiliani di essere riusciti a comporre un disco piacevole, anche se lontano dall'essere un classico.
"The Wandering Dauhgter" potrebbe quindi essere un buon palliativo per gli orfani degli Opeth a cavallo del nuovo millennio, anche se la band ha in questa sede dimostrato di aver sufficiente talento per scrollarsi dalle spalle l'ingombrante ombra del gruppo svedese e di poter camminare con le proprie gambe.
Recensione a cura di Michele ’Coroner’ Segata

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