Devo ammettere che l’ascolto del debut album dei
Revolted Masses non è stato affatto facile. Le sonorità moderne che pervadono il disco non sono facili da mandare giù, almeno per me, ma con la stessa onestà devo dire che, superato il primo approccio, ci si trova davanti ad un disco quanto meno coraggioso. La loro bio parla di death/thrash/prog, e per quanto sia fantasiosa, in un certo senso la definizione potrebbe pure starci. Ma non è certo questo l’elemento che mi ha colpito di più. La parte più interessante della proposta dei nostri è l’uso che fanno di melodie orientaleggianti, incastrate alla perfezione tra un riff e l’altro. Senza usare strumenti acustici (salvo un paio di eccezioni), senza metterle lì, fine a se stesse, i greci riescono a mescolare le varie influenze in maniera ottimale, riuscendo, così, a metter su uno stile particolare, e sì, perché no, decisamente originale. Davvero ammirevole il lavoro delle due asce che in tutti i brani costruiscono melodie orientali perfettamente armonizzate tra loro senza far perdere un’oncia di pesantezza alle canzoni, le quali hanno un’unica pecca, e cioè la voce di George, che alla lunga risulta un po’ fastidiosa e monotona. Calcolando che qua e là il singer ha optato per melodie alternative, ci si chiede come mai non abbia osato di più inserendole più spesso al fine di rendere i pezzi più vai e interessanti. Lasciando da parte per un attimo il loro aspetto più etnico e tribale, per il resto ci troviamo davanti ad un metal di chiarissimo stampo nineties, quando a farla da padrona c’erano i Sepultura, periodo “Chaos A.D.”/“Roots”, dai quali prendono spunto anche per testi di denuncia sociale. Ovviamente il paragone è azzardato, non sto certo dicendo che i Revolted Masses sono ai livelli dei Cavalera, però questi ultimi sono stati senz’altro i loro numi tutelari, appare evidente durante l’ascolto di “Us or them”. Se tutto si fosse fermato qui sarebbe stato davvero riduttivo e avvilente, a vent’anni di distanza dalla proposta originale. Fortunatamente, come già detto prima, il combo greco è stato abbastanza intelligente da capire che seguendo pedissequamente quelle orme non sarebbe riuscito a proporre qualcosa di interessante, per cui ha arricchito la propria proposta con tutto quanto già descritto qualche riga fa, e con ottimi risultati, ripeto. La grinta c’è, basti ascoltare la titletrack, l’opener “Savage temper” o “Deathblock11”, tutte granitiche al punto giusto e supportate alla grande da una sezione ritmica varia e potente, sulla quale le chitarre tessono trame esotiche che arricchiscono i brani, il tutto enfatizzato da una produzione di livello, che esalta molto le ritmiche senza tralasciare i particolari degli altri strumenti. Se i greci fossero riusciti a personalizzare ulteriormente la propria proposta anche per quanto concerne l’aspetto più metal, ora staremmo parlando del disco in maniera ancora più entusiastica. Purtroppo alla lunga qualche cedimento fa capolino, ma calcolando che si tratta di un esordio possiamo tranquillamente chiudere un occhio, o meglio, un orecchio… Sono sicuro che ci sono i margini per una crescita stilistica notevole, tocca solo aspettare il prossimo lavoro per vedere se c’ho visto giusto. Per adesso promossi a pieni voti…
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