Sapete cos'è che mi manda fuori di testa dei
Pain of Salvation? E' il fatto che, ancora oggi dopo tanti anni, Daniel e soci riescano a mettere il CUORE in ogni cosa che incidano. No, non sottovalutate la cosa. Al giorno d'oggi, trovare una band che abbia così tanto coraggio da cambiare line-up, direzione musicale, e al contempo mantenere un tale livello di coinvolgimento emotivo in se stessi e nei fans che li seguono, è cosa a dir poco rara. A tutto questo, aggiungete pure una sorta di
nomen omen, un destino scritto nel nome: non c'è una release dei PoS che non sia dovuta passare attarverso dolore, sofferenza, problemi quasi inaspettati. E se stavolta sembrava tutto facile, con l'idea di ridare una veste unplugged e riarrangiare alcuni brani della discografia degli svedesi, ci si è messa di mezzo la fascite necrotizzante che ha costretto Daniel a mesi di ospedale e sofferenze, caricando il tutto di dolore, paura, dubbi e una tale pletora di emozioni, che era quasi naturale, visti i soggetti, che tutto questo finisse nell'album. E così, dopo tanto penare, arriva tra poco nei vostri negozi di dischi preferiti un album, "
Falling Home", che è l'ennesimo capolavoro.
Capolavoro.
Ora, sgombriamo subito il campo da eventuali dubbi. "Falling Home" è sì un album unplugged, ma NON è live, e soprattutto NON è una rivisitazione in chiave acustica tout court di alcuni brani della band. No, figurati. "Falling Home" è un riarrangiamento, spesso uno stravolgimento totale dei suddetti brani, eseguito con una perizia, un gusto, una tale cura in ogni singola nota che, praticamente, potete tranquillamente considerarlo un album completamente nuovo.
E c'è un gusto della ricerca, una cultura musicale sterminata, una bravura esecutiva che lascia sbalorditi, in ogni "nuova" traccia, che ancora una volta mi ritrovo quasi commosso, a sentire come dei Musicisti riescano a non perdere l'anima vera, pura, incontaminata dell'amante, pur suonando tutto in punta di acustica. Da perderci la testa.
L'album si apre con una "
Stress" pescata direttamente dal primo "Entropia" che, in un colpo solo, riesce a fondere insieme citazioni ai Led Zeppelin, arrangiamenti corali da capogiro e una sezione ritmica stravolta ed esaltante. E siamo solo all'inizio: "
Linoleum" guadagna sfaccettature emotive oniriche e ombrose, per poi lasciare spazio forse al brano più bello del disco. "
To the Shoreline", già epica nella sua versione originale, diventa qui l'emblema dei PoS oggi, una band in grando di prendere EMOZIONI e farle diventare CANZONI. Da lacrime. Ma, ehi, siamo solo a traccia 3: segue una versione incredibilmente riarrangiata di "
Holy Diver", si proprio quella Holy Diver! Solo che questa versione è praticamente un brano jazz, con un bridge reggae nel mezzo... roba da pazzi. "
1979" mette i brividi per interpretazione e gusto, "
Chain Sling", manco ne parliamo, mi fa commuovere ogni volta che la sento, e poi arriva nientepopodimeno che "
Perfect Day", e Lou Reed sarebbe orgoglioso di come questo maledetto genio di Daniel Gildenlow riesca a tirar fuori cuore e lacrime da ogni parola, da ogni nota.
L'album continua a presentare sorprese negli arrangiamenti da perderci la testa, fino all'unico brano inedito, la title track posta in fondo, che chiude alla perfezione un album stre-pi-to-so, e mi scoccia ripetermi, che NON è semplicemente un live unplugged in studio, ma un vero e proprio viaggio emotivo, completamente nuovo, completamente da scoprire, gustare, ascoltare.
Dietro Daniel, una band praticamente perfetta, e l'unica cosa che veramente mi manca è il timbro inimitabile di Johan Hallgren, folletto insostituibile. Ma Ragnar è il pezzo perfetto per il puzzle che sono i Pain of Salvation oggi, e ancora una volta non posso che inchinarmi di fronte alla band più coraggiosa, coerente, emozionante che io abbia ascoltato da tanto, tanto tempo. Chapeau.