Copertina 8

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2014
Durata:42 min.
Etichetta:Swords and Chains Records

Tracklist

  1. KING OF FEAR
  2. STRONGER THAN STEL
  3. TEMPLE OF THE WITCH
  4. SWORD OF THE DAWN
  5. RAGING DEMON
  6. CURSE OF THE BLACK HAND
  7. TEST THE METAL
  8. HONOR IS LIFE
  9. NECROMANCER

Line up

  • Jason Conde-Houston: vocals
  • Patrick Seick: drums
  • Robbie Houston: guitars
  • Rah Davis: bass
  • Rob Steinway: guitars

Voto medio utenti

Stò fremendo, sudo freddo, mentre inizio a scrivere questa recensione. Si perché il mio cuore d’acciaio di true defender questa volta è stato messo duramente alla prova e non sò veramente cosa mi stà trattenendo dal dirvi chiaramente che King of Fear degli americani Skelator è un fottutissimo capolavoro di true heavy metal come non si sentivano da anni.

Ma la mia seppure breve reputazione di scribacchino deve essere difesa e quindi ritorno nei ranghi, lo scrivo mentre ascolto Curse Of The Black Hand , no, non ce la faccio, ma che razza di pezzo stò ascoltando, testosterone al massimo, una sorta di trip tra i più grandi Manowar, gli Stormwitch d’annata e gli Hammerfall di Legacy, me lo sento, svengo… no dai, facciamo i professionali, chi sono gli Skelator? Sono true metallers da San Diego, esisitono dal 2000, e dopo una serie di demo indipendenti (racchiusi nella raccolta Give me Metal or Give me Death), raggiungono il primo full lenght nel 2010 con Death to All Nations, bellissimo debutto, grezzo, sanguigno, che si rifaceva a tutto l’epic e lo speed ottantiano, una sorta di incredibile mix tra Manowar e Agent Steel, forse l’unica pecca di quel disco era l’eccessiva durata di alcuni brani che facevano perdere la tensione all’ascolto.
Ora giungono al loro terzo disco, ammetto di averli persi di vista con il secondo, e li ritrovo incredibilmente maturati e centrati, questa volta con una produzione pulita all’altezza della situazione e un lotto di brani realmente esplosivi. Marchio di fabbrica della band è l’ugola di Jason Conde-Houston, una sorta di miscela tra Eric Adams, Bruce Dickinson e John Cyriis, veramente una marcia in più la sua prestazione su tutto il disco. Ora se la vostra passione in musica è di trovare originalità, innovazione e raffinatezza ecco, semplicemente allontanatevi veloci come un fulmine da questa recensione, perché abbiamo di fronte una serie di clichè metal impressionanti, dall’uso delle chitarre, della batteria pulsante e rullante e da testi che più true metal di questi non esisitono (power, steel, honor, glory, flame, sword….insomma avete capito!).
Si inizia con la title track, che attacca come Baptized in Blood degli Helstar, e procede epica e quadrata, ma se proprio vogliamo toglierci il dente marcio è sicuramente il pezzo meno convincente del lotto, ma dalla track 2 in avanti vi assicuro che è un massacro d’acciaio puro e scintillante, il trittico Stronger Than Steel (che originalità eh?), Temple of the Witch, Sword of the Dawn, sono pura goduria per le orecchie di chi crede ancora oggi che il vero metal sia questo, che sia questa la matrice che ha portato ha tutto, tra rasoiate, rullate, melodie epiche e oscure e la voce di Houston a fendere l’aria che è una bellezza, ho ritrovato tutto il mio essere metallaro. Dopo la rozzezza, efficacissima di Raging Demon, ci appare in tutto il suo splendore la già citata Curse Of the Black Hand, un autentico capolavoro, oltre che uno dei brani classic più belli che mi sia dato d’ ascoltare da alcuni lustri a questa parte, veramente qui ragazzi non ce n’è per nessuno, da vero infarto. Ma c’è ancora spazio per la pura epicità di Honor is Life (titolo dell’anno), una canzone che i Manowar non scrivono da più di venti anni e per la finale Necromancer e qui faccio copia incolla con quanto detto per Curse Of The Black Hand, altro solco d’antologia, dove i migliori Stormwitch rivivono in tutto il loro splendore, con una parte rallentata centrale che da sola vale l’acquisto del disco.
Non riesco proprio a rimanere troppo obiettivo davanti musica che mi trasmette sensazioni sottopelle troppo forti , che mi ricordano molto da vicino le cose migliori fatte da bands come Wizard, Paragon e gli stessi Sacred Steel e che rappresenta tutto quello per cui sono diventato metallaro dentro, una fede verso valori come onore, verità, fedeltà e forza e che in molti momenti della mia vita mi sono stati realmente d’aiuto, sono stati dischi come King Of Fear a farmi trovare la forza per affrontare anche le situazioni più disperate e sarò sempre grato e devoto a queste sonorità.

Quindi UP THE TRUE METAL e DEATH TO FALSE METAL, qui non c’è posto per posers ma solo per chi ha il cuore d’acciaio forgiato dalla vita e da dischi come questo.

A cura di Andrea “Polimar” Silvestri

Recensione a cura di Ghost Writer

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