Dopo il come back del 2001, la band tedesca del talentuoso chitarrista Axel Ritt, già autrice di alcuni dischi nei primi anni '80, è riuscita a ritagliarsi uno spazio sempre più consistente all'interno del panorama metal internazionale, non da ultimo la recente inclusione nel roster di Limb Schnor, il leggendario talent scout scopritore di band del calibro di Helloween ed Angra. A giudicare dal battage promozionale, il buon vecchio
Limb deve tenerci molto a questo suo ultimo acquisto, e in effetti "Last days of Utopia" non delude affatto, confermando in pieno il valore di un combo che sembra davvero pronto per il grande salto commerciale. La proposta dei Domain è sempre quella: heavy metal di chiaro stampo ottantiano, a metà strada tra Rainbow e il miglior Malmsteen, con una accentuata impronta
neoclassica ma anche con una certa componente hard rock, dovuta soprattutto alla grande voce di Carsten Schulz, più simile a David Coverdale che ad un qualsiasi singer power teutonico.
A differenza delle ultime uscite, la band rende maggiormente epico e sinfonico il proprio suono, una scelta senza dubbio dettata dalla natura lirica di questo lavoro, essenzialmente un concept a sfondo fantasy. Dopo un breve intro si parte con "A new beginning", poderoso hard pomp in cui sono già presenti tutti i trademarks che rendono ottimo "Last days of utopia": pregevoli intarsi di chitarre e tastiera, assoli virtuosi ma anche ricchi di feeling, melodie vocali decisamente sopra le righe. Più lunga ed articolata è "On stormy seas", che
nei suoi nove minuti di durata sviluppa in pieno la sua componente epica e sinfonica. Dopo un breve interludio nel quale Axel Ritt dimostra ancora tutta la sua classe, ecco arrivare le tastiere squillanti di "Ocean Paradise", un'altra track notevolmente orientata verso il sinfonico.
"Endless rain" è il primo singoo, dal quale i Domain hanno ricavato un video (lo vedremo mai?), ma decisamente meglio sono "The great rebellion" o la
title track, che viaggiano su un terreno decisamente più heavy classico, due brani potenti e veloci, dai refrains semplicemente irresistibili. C'è spazio anche per "Beauty of love", romantica ballata tipicamente AOR oriented,
sostenuta da un bel lavoro di pianoforte. Chiude, dopo un altro interludio strumentale, "Left alone", che rallenta il ritmo e ci riporta sui medesimi terreni hard pomp dell'apertura.
Che dire di più? Le canzoni funzionano, la prova dei singoli musicisti è ottima, la produzione all'altezza, e pure l'artwork dice la sua: non c'è alcun dubbio, i Domain sono pronti per il grande salto!
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