Chi non conosce i Lost Horizon può gentilmente smettere di leggere questa recensione, andarsi a recuperare quei due capolavori a nome "Awakening the World" e "A Flame to the Ground Beneath" e godere per un paio d'ore. Poi torni pure qui e continui a leggere.
Perchè i Lost Horizon? Che c'azzeccano con gli
Harmony?
Un nome:
Daniel Heiman.
Una rapida descrizione: una delle voci più clamorose del panorama power metal mondiale tutto.
Il succitato Daniel Heiman, al secolo conosciuto come Ethereal Magnanimus, torna dopo un periodo lungo quasi una decina d'anni a occuparsi per intero delle parti vocali di un disco e lo fa con i quipresenti Harmony, gruppo svedese con un paio di album di discreto livello alle spalle ma niente più.
Può quindi una voce impressionante come quella di Heiman risollevare le sorti di un gruppo destinato a navigare per sempre nel
mare magnum dei gruppi mediocri?
Può, eccome se può. Se uniamo a Heiman anche i nuovi acquisti
Raphael Dafras al basso e
John Svensson alle tastiere (davvero bravissimo, un plauso particolare al ragazzo) e farciamo il tutto con una produzione al limite della perfezione, ci troviamo davanti finalmente a un disco eccellente, che senza dubbio contribuirà in maniera decisiva all'innalzamento dello status degli Harmony.
L'avvio non è propriamente dei migliori, se vogliamo dirla tutta, figlio di un paio di brani sufficienti ma niente più, la spenta "
Inhale" in particolare. Poi però il ritmo sale vertiginosamente con "
Crown Me King" e soprattutto l'ottima "
What If", dove finalmente abbiamo un saggio delle potenzialità vocali di Heiman.
Va detto per onestà intellettuale che il buon Daniel ha perso parte di quello smalto che lo rendeva da Top3 assoluta, ma rimane il fatto che, pur in leggero calo, Heiman caga in testa (termine tecnico) al 95% dei cantanti power/prog in circolazione.
Ulteriore testimonianza del suo valore assoluto l'abbiamo sulla title-track "
Theatre of Redemption", forse il brano più riuscito del lotto insieme alla conclusiva "
In Search Of", mid-tempo dalle splendide linee vocali, che esaltano appieno Heiman.
Unica pecca è forse data dalla sezione ritmica, con un basso e soprattutto una batteria che non incidono mai davvero, risultando a tratti banalotti e spompati, a dispetto di una già citata produzione cristallina.
C'è il power, c'è un briciolo di prog e c'è anche l'AOR tra le pieghe dei 10 brani che compongono "
Theatre of Redemption", senza dubbio l'album della redenzione degli
Harmony. Se Heiman rimarrà al timone della band, aumentando l'alchimia tra i membri, il futuro sarà senza dubbio radioso per gli svedesi. Per adesso accontentiamoci di un bellissimo album, scusate se è poco.
Quoth the Raven, Nevermore..