Sofia Lilja è una delle “nuove” voci femminili più interessanti dell’intero panorama
hard n’ heavy, e non credo ci possano essere degli estimatori di “Mountain” disposti a confutare un’affermazione del genere.
Il problema, semmai, emerso proprio in quel debutto dei suoi
Nubian Rose, era riuscire a sostenere tali abilità fonatorie con un’adeguata forza espressiva, un po’ incostante all’interno di un lavoro comunque piuttosto godibile.
Ora, con un secondo
full-length dal titolo (“impegnativo”) “Mental revolution”, gli svedesi sono fatalmente chiamati a dare prova di essere cresciuti sotto il profilo compositivo, in modo da non disperdere oltre le qualità di una laringe tanto stentorea e ammaliante.
Purtroppo, però, gli auspicati miglioramenti non sono particolarmente evidenti: il cantato scintillante, supportato ancora una volta dal potente e raffinato
guitar work di Christer Åkerlund, non trova un “terreno” di scrittura sufficientemente fertile e invece che consentire alle alchimie sonore di germogliare prepotentemente nell’apparato
cardio-uditivo, si limita ad assicurarne una “fioritura” di buon livello e tuttavia abbastanza lontana dall’esplosione che mezzi tecnici così imponenti potrebbero garantire.
L’inizio è affidato, esaurita la breve
intro liturgica (mi ha fatto venire in mente la sigla di Mr. Bean …
boh …), alla prorompente “War”, una sorta di figlia
ipervitaminizzata di “Spotlight kid” in cui i maliardi registri vocali (una “roba” tra Gudrun Laos, Ann Wilson, Robin Beck e Skin, per intenderci …) e le notevoli capacità interpretative della bella e brava
colored scandinava si spiegano in tutto il loro fervore.
Dopo un attacco così irruento, appare condivisibile, poi, la scelta di piazzare una “Time again” in grado di svelare il lato più intimista e “radiofonico” del gruppo, impegnato in un bel pezzo di
rock melodico dai connotati gradevolmente “contemporanei”.
Con “Illuminated within”, “Break out” e una sbarazzina “All of your love” si percorre il pericoloso crinale dell’ammirazione epidermica priva di autentici sussulti, e se “The eye” può piacevolmente ricordare qualcosa dei Loudness “americani” e “Tough guys don’t dance” omaggia senza soverchie forzature la dissoluta spigliatezza dei Motley Crue, tocca alle fascinose melodie “adulte” di “Higher”, “You will never walk alone” e “(Taking this) Further” fornire una scossa emotiva davvero intensa, edificata sulla classe e sul garbo applicato a strutture armoniche assai codificate.
Disco e
band molto competente, dunque, con Sofia che conferma la sua piena rispettabilità di
vocalist (e di esotica
femme fatale) … per ambire a ruoli egemoni manca ancora un pizzico di brillantezza nel
songwriting … ne attendiamo fiduciosi l’arrivo già dal prossimo
album.
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