Ammetto che prima di avere tra le mani “Legion”, il nuovo album dei
Korzus, non ero assolutamente a conoscenza dell’esistenza della band. Ho quindi iniziato a ‘fare i compiti’, e ho scoperto che stiamo parlando di una delle band pioniere del thrash metal brasiliano, visto che sono in giro addirittura dal 1983, insieme ai ben più noti
Sepultura e alle cult band
Sarcofago e
Attomica. Ho quindi provveduto a recuperare i vecchi lavori del gruppo, per poter capire meglio come si è arrivati al contratto con la AFM Records e alla pubblicazione del già citato album. Beh, devo dire che il percorso musicale dei cinque carioca è stato di tutto rispetto, con una serie di full length tutti votati al thrash metal più puro e incondizionato, e concerti in giro per il mondo con tutte le band che contano e nei principali festival. Nati come cloni dei primissimi
Slayer, hanno evoluto il proprio sound riuscendo pian piano ad allontanarsi dalla band di Araya e King, maturando una propria identità che ben viene espressa in questo album. Se è vero che di tanto in tanto lo spettro dai californiani continua ad aleggiare (ascoltate l’inizio di “Lifeline”, letteralmente saccheggiato da “Hell awaits”), oggi il sound s’è fatto leggermente più moderno, e se proprio volete un termine di paragone per capire il tipo di thrash suonato dai nostri, direi che nominando gli ultimi
Kreator non sbaglio affatto. Dai tedeschi i nostri hanno preso la capacità di creare atmosfere rarefatte, riff più variegati, brani dai suoni molto curati e coinvolgenti, evitando di limitare il proprio assalto sonoro a un bieco ripetersi di violenza fine a sé stessa, anche se è soprattutto il singer Marcello Pompeu a richiamare alla mente l’operato dell’ultimo Mille Petrozza, sia come timbro che come melodie vocali usate. C’è molta carne in tavola, quindi, il che fa di “Legion” un disco di tutto rispetto, meritevole di più di un ascolto per essere assimilato. Il classico album che riesce a fare la felicità dei thrasher più incalliti, ma allo stesso tempo riesce a guardare al futuro senza perdere un’oncia di credibilità e di attitudine, riuscendo, finalmente, a tributare il giusto riconoscimento a questa cult band. Notevoli i passi avanti fatti rispetto al precedente “Discipline of hate”, evidentemente i quattro anni trascorsi tra i due lavori sono stati fondamentali per la band, che ha così potuto concentrarsi al meglio sul songwriting, vario e trascinante. Se ascoltate brani come “Six seconds”, le tritatutto “Lamb” e “Vampiro” o la più complessa “Time as come” troverete un gruppo maturo, conscio delle proprie capacità e degli anni trascorsi dagli esordi. Se i nostri fossero riusciti ad evitare un leggero calo di tensione nella seconda parte dell’album, il voto finale avrebbe sicuramente un mezzo voto in più, ma stiamo parlando tutto sommato di sottigliezze, in quanto “Legion” vince e convince nel suo insieme.
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