Se questo disco fosse arrivato all’incirca un lustro fa, si sarebbe gridato al miracolo, ma nel 2005 siamo in una qual misura abituati a certe cose, anche se il risentirle fa sempre un certo effetto. Gli Into The Moat suonano un brutale e insano mathcore, roba che mette insieme Dillinger Escape Plan e Burnt By The Sun. Stiamo quindi parlando di doti tecniche eccelse, capaci di funambolismi esasperati, e di un costante assalto da più punti, anche se i colpi migliori e più devastanti vengono sferrati al nostro cervello.
Nonostante il disco duri pochi più di mezzora, dopo solo pochi minuti si avverte già quel senso di spossatezza, di saturazione, chiaro indice della bontà della proposta della band. Insomma se questo disco vi fa venire il mal di testa allora vuol dire che state apprezzando.
Il disco è pregno di visioni distorte, oblique, volutamente divergenti, si respira aria malsana e si ha sempre la sensazione come se qualcuno vi massaggiasse la materia cerebrale con guanti di cartavetro.
Tornando alla musica, sebbene possa essere tacciata di clonazione verso le suddette bands, è pur vero che ci vogliono innegabili capacità per suonare in questo modo, le quali vengono sciorinate in lungo e in largo in tracks come “Dead Before I Stray”, “Fortitudine” e la conclusiva e mastodontica “Prologue To The Campaign”, nevrastenica, schizzata e piena di assoli simil-fusion, la quale si chiude con il suono di sinistri violini.
Qualcun altro stroncherà questi ragazzi di Fort Lauderdale, e ciò sarebbe un vero peccato, io invece ho apprezzato molto e di sicuro questo “The Design” può essere considerato un ottimo punto di partenza per la band e sono certo che le future evoluzioni mi daranno ragione. Fossi in voi non me li lascerei scappare.
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