Bisogna ammettere che dalla reunion del 2011 gli Exhumed stanno cercando di recuperare il più velocemente possibile il tempo perduto. La pubblicazione di due, a parer di chi scrive, ottimi album in studio (
“All guts no glory” e
“Necrocracy”) inframmezzati da una intensissima attività live e a cui segue or ora la riedizione dello storico e acclamato “Gore metal”.
Ad esser precisi, il termine riedizione non calza alla perfezione in quanto la band californiana ha provveduto ad una vera e propria ri-registrazione dei dodici brani che lo compongono.
Il perché di questa mossa? Il cantante/chitarrista Matt Harvey interrogato sull’argomento da Revolver Magazine - riferendosi al brano “Limb from limb” - ha giustificato la scelta poiché “
ora la canzone suona come la abbiamo eseguita dal vivo, più veloce ed incisiva. Infinitamente più udibile e con una adorabile motosega nel bridge!”.
Se da un lato questa uscita costituisce un modo originale di tenere caldo il nome Exhumed in attesa di un nuovo lavoro di inediti, è pur vero che la nuova versione di “Gore metal” non è una mera ristampa – ripulita ed infiocchettata quanto volete – dell’originale del 1998.
I brani “riveduti e corretti” godono realmente di una produzione più che decente, che valorizza a tutto tondo il soundwriting
a la Carcass del combo statunitense senza per questo renderla una detestabile “plasticata”.
D’altro canto è notorio che il sound del 1998, più sporco e grezzo, ha contribuito a rendere “Gore metal” quel piccolo album di culto fra i seguaci del death/grind e che questa operazione di rinnovamento ha dissolto in parte quell’aura di miticità alimentatasi durante questi anni.
Gli Exhumed hanno però pensato bene – con astuta mossa commerciale – di allegare alla riedizione anche la vecchia versione di “Gore metal”, così che siano i fan a decidere quale delle due preferiscono.
Quale che sia la vostra scelta, non è in discussione l’attualità, la qualità e la bontà di brani quali la già citata “Limb for limb”, “Casket crusher”, “Blazing corpse” o la conclusiva “Detest the dead”; è infatti innegabile che i californiani vissero un felicissimo periodo compositivo che si tradusse in un lotto di brani senza tempo, assassini, velocissimi ed impazziti.
Un caposaldo del death/grind che merita di essere (ri)scoperto.
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