Aspettavo questo disco dal 2001, da quando si seppe del ritorno sulle scene dei Maestri, assenti dal 1992 hanno di rilascio del loro disco più debole The Circus Maximus. Il ritorno sulle scene si chiamò Atlantis Rising e oggettivamente rappresentò una mezza delusione per il sottoscritto, un sound troppo legnoso appesantito ulteriormente da non riuscitissime growls e da una produzione confusionaria, solo a sprazzi si intuiva il genio dei
Manilla Road. Da quel disco le uscite si sono susseguite regolari e altalenanti come qualità, dal bellissimo The Spiral Castle (fino ad oggi il mio preferito del nuovo corso) agli ottimi Playground Of The Damned e Voyager, alternati dai poco ispirati Gates Of Fire e il recente Mysterium. Febbraio 2015, esce The Blessed Curse/After The Muse, doppio album monumentale, quasi 100 minuti di musica, supportato da una copertina stupenda del nostro Paolo Girardi, in grado di rivaleggiare con quelle leggendarie di Eric Larnoy, e la musica, sarà stato in grado il guerriero Shelton a riportare la sua band finalmente sulla strada verso Manilla? La risposta è semplice quanto convincente, SI. I Manilla Road sono tornati, è tornato il sound snello e vertiginoso dei loro capolavori è tornata la batteria terremotante e forsennata (merito del nuovo innesto Andreas Neuderth), è tornata la chitarra di Shelton, con i suoi assoli al limite dell’impossibile per velocità, tecnica ed evocatività, sono tornati anche i testi dei bei tempi e questa volta Shelton si concentra sulla civiltà Sumera e sul suo eroe per eccellenza, Gilgamesh, quindi tutto The Blessed Curse ci racconta in maniera fantastica la sua incredibile storia, tra realtà e leggenda perduta fra le nebbie della storia dell’umanità. E’ soprattutto tornato quel modo di scrivere i pezzi unico di Shelton che più mi era mancato nei dischi più recenti e cioè la melodie e la musica al servizio della storia da raccontare e non il contrario, si ricrea cosi quel senso di èpos che tanto ha reso leggendari gli americani di Wichita. Tutto questo si percepisce subito dall’iniziale title track dove tra passaggi acustici e sognanti e riff terremotanti si entra nel fantastico mondo del più puro epic metal, ma è già con la successiva Truth In The Ash si ha a che fare con uno di quei pezzi che sarebbero stati bene anche in The Deluge o in Mystification, poco più di tre minuti di estasi metallica allo stato di grazia, roba da far ritirare il 99 per cento delle band attuali per manifesta inferiorità. Ma il disco procede con un altro assoluto colpo al cuore, questa volta portato con grazia, una grazia orientale come le musiche che caratterizzano la suadente Tomes of Clay, un viaggio nella leggenda più profonda, un brano che sembra estrapolato dal manifesto The Mark Of The Beast e qui la parola capolavoro comincia a sussurrarci i neuroni. Si ritorna a picchiare con The Dead Still Speak in grado di riportarci anch’essa a Mystification e dopo la sognante Falling, duettata da Shelton e Patrick dove è veramente difficile capire chi è l’originale data la straordinaria somiglianza nel timbro vocale nasale, ci appare una serie di quattro brani che riportano la nostra mente a sensazioni che sembravano ormai a pannaggio solo di un disco unico come The Deluge e invece qui le ritroviamo tutte, melodie assassine, chitarre saettanti e a vortice, batteria varia e fulminea, stacchi al cardiopalma, insomma l’epicità al completo dei più grandi Manilla Road rivive di nuovo. Chiude il disco l’incredibile The Muses Kiss un pezzo tra l’acustico e l’elettrico che trova il suo climax nella parte strumentale finale veramente da pelle d’oca. Tanto basterebbe e invece i Manilla Road ci regalano un secondo cd chiamato After The Muse, composto da materiale inedito, quasi completamente acustico, ma vi assicuro assolutamente avvincente ed entusiasmante dove troviamo anche alcune chicche. La presenza del bassista originale dei Manilla Scott Park nel brano All Hallows Eve 1981 e del primo leggendario batterista Rick Fisher nel medesimo brano e nella sua versione del 2014. Altra chicca assoluta è rappresentata dalla presenza del nostro grande Gianluca Silvi(leader dei Battle Ram) che oltre a fare i backing vocals in Falling scrive un brano insieme a Shelton a nome In Search Of The Lost Chord, un brano acustico, ma che da solo vale il prezzo del disco, un capolavoro di epicità e atmosfera veramente unico nel suo genere, da lacrime di gioia. Quindi anche il secondo cd pur mancando la potenza dell’elettricità risulta ancora un ascolto eccezionale. Difficile spiegare cosa significhi per me cresciuto con queste sonorità trovarmi nel 2015 a parlarvi di un disco di una qualità tale, realizzato da alcuni delle più alte fonti di ispirazioni musicali della mia vita. Senza falsa retorica io ho già trovato il MIO disco del 2015, un disco che continuerò ad ascoltare infinite volte e che ha avuto il merito di ricordarmi quanto bella possa essere la musica metal quando è fatta col cuore col talento e con la magia, si perché i Manilla Road sono magia, in grado di trasformare tutti i nostri sogni nelle più convincenti realtà mentali e portarci là dove solo i veri guerrieri possono entrare, nell’EPOS.
A cura di Andrea “Polimar” Silvestri
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