No … i
Revolution Saints non sono dei
rivoluzionari.
E ad analizzare i loro corposi
curricula vitae c’è da chiedersi perché mai lo dovrebbero essere.
Un certo tipo di suono, Deen Castronovo, Jack Blades e Doug Aldrich hanno sicuramente contribuito quantomeno a “svilupparlo”, e, semmai, a sovvertire "l’ordine costituito" ci dovrebbe pensare qualcun altro.
E poi, in fondo, questa faccenda “dell’originalità” non è così
tremendamente essenziale, almeno quando di fronte hai un’opera della caratura di questo debutto autointitolato, capace di stimolare brividi d’approvazione dalla prima all’ultima nota.
Allora diciamo che, probabilmente, non è tanto importante “cosa” racconti, ma il “come” lo fai e caspita, ragazzi, credetemi quando affermo che questi
Signori del Rock Melodico il segreto della forza espressiva applicata alla tradizione, oltre a conoscerlo in tutti i suoi più reconditi anfratti, lo sanno far sgorgare in maniera copiosa con una naturalezza davvero disarmante.
Se Journey, Night Ranger, Damn Yankees, Hardline, Bad English e The Storm fanno vibrare da tempo immemore i vostri sensi, vedrete che anche l’ascolto di questa dozzina di preziose perle sonore finirà per soggiogarli, incuranti di ogni altra razionale valutazione.
Castronovo unisce il battito incessante del cuore ritmico della sua batteria a una magnetica voce Perry-
ana (che non sorprenderà gli estimatori dei Journey … ricordate “Generations” o i
live degli
AOR Gods?), la chitarra voluminosa di Aldrich riempie l’aria di sensibilità ed elettricità, mentre al basso pulsante e alla laringe inconfondibile di Blades tocca il nobile compito di completare una formula taumaturgica, un balsamo per mente e anima dagli effetti istantanei fin dalla prima applicazione.
E non è nemmeno finita … le ospitate di Arnel Pineda e Neal Schon (il suo assolo su “Way to the sun” è pura magia) sono la classica ciliegina su una torta squisita e mai ridondante e Alessandro Del Vecchio,
beh, è semplicemente il raro caso di una nostra “gloria nazionale” che vede per l’ennesima volta certificato il valore internazionale delle sue capacità di efficace produttore, di fine scrittore e di perspicace esecutore.
Dopo tante chiacchiere, sarebbe il momento di passare alla descrizione delle singole canzoni, magari imponendosi delle “dolorose” selezioni …
inutile la prima circostanza,
impossibile la seconda … di fronte a un programma così intenso, fatto di appassionanti tenerezze e di graffianti zampate, l’unica cosa “saggia” da consigliare agli appassionati del genere è di affidarsi completamente a questi smaglianti “vecchietti”, ancora in grado di rappresentare il
benchmark di riferimento del
rock adulto americano.
No … “Revolution saints” forse non ha tutti i crismi di un capolavoro
tout court … evoca qualche
déjà entendu di troppo per essere definito tale … è però certamente un’esibizione artistica di formidabile classe e di superba tempra emotiva, che non riesco a smettere di ascoltare … il resto, francamente, poco conta.