Copertina 9

Info

Anno di uscita:2015
Durata:58 min.
Etichetta:Frontiers Music

Tracklist

  1. RUNNING OUT OF TIME
  2. BURN
  3. HOLY WAR
  4. 21ST CENTURY BLUES
  5. ORPHAN
  6. UNKNOWN SOLDIER (FOR JEFFREY
  7. THE LITTLE THINGS
  8. CHINATOWN
  9. ALL THE TEARS THAT SHINE
  10. FORTUNE
  11. GREAT EXPECTATIONS

Line up

  • Joseph Williams: vocals
  • Steve Lukather: guitars, bass, vocals
  • David Paich: keyboards, vocals
  • Steve Porcaro: keyboards, vocals
  • David Hungate: bass
  • Keith Carlock: drums
  • Lenny Castro: percussion
  • Tom Scott: saxes, horn arrangements
  • Lee Sklar: bass
  • Tal Wilkenfeld: bass
  • Tim Lefebvre: bass
  • Martin Tillman: cello
  • CJ Vanston: additional synths
  • Michael McDonald: background vocals
  • Amy Keys: background vocals
  • Mabvuto Carpenter: background vocals
  • Jamie Savko: background vocals
  • Amy Wlliams: background vocals

Voto medio utenti

Sono senza parole.
E non mi succede spesso, almeno quando si tratta di scrivere di musica.
Avevo ovviamente, nonostante i soliti congeniti timori, molta “fiducia” nei Toto, in assoluto uno dei miei (tanti) miti personali, ma francamente non mi aspettavo un disco “così”.
A nove anni di distanza da “Falling in between” che pure avevo adorato, l’ascolto di “Toto XIV” ci riconsegna una formazione che dimostra di potersi ancora superare in verve e tensione comunicativa, conservando uno straordinario linguaggio espressivo distintivo e autoctono, capace di non fornire mai l’impressione di crogiolarsi nella rassicurante alcova del “come eravamo”.
Il ritorno di Joseph Williams, contestuale all’assenza di Bobby Kimball, conduce inevitabilmente la memoria a lavori come “The seventh one” e “Fahrenheit” e tuttavia in questi solchi non c’è nemmeno l’ombra di una forma di “riciclaggio”, intridendo di freschezza una formula stilistica sempre riconoscibile e non per questo pavida.
Insomma, questi agiati sessantenni gettano un mirabile guanto di sfida ai loro tanti ben più giovani epigoni proprio nel campo della vivacità, ambito dove gente come Work Of Art, State Of Salazar e Care Of Night ha dimostrato di poter eccellere e grazie al quale, però, oggi i maestri tornano prepotentemente a reclamare il loro ruolo di sovrani incontrastati del settore.
Spiccatissime individualità tecnico-creative al servizio di canzoni al tempo stesso sofisticate, intense, magnetiche e fascinose, è questa, in fondo, l’estrema sintesi di un albo all’insegna di un’immota estetica artistica, mai banale anche nei momenti più immediati, pieno di policromie soniche ottimamente enfatizzate dall’accurata produzione di C. J. Vanston e del gruppo stesso.
E allora proviamo a scorrere brevemente le immagini di quest’opulenta sceneggiatura in note, cercando di trasmettere il senso di “stupore emotivo” che procura, certi che comunque non si riuscirà a essere del tutto efficaci nell’impresa.
Iniziare le “ostilità” con il saliscendi sul pentagramma e l’enfasi contagiosa di “Running out of time” è un modo splendido per catturare istantaneamente l’attenzione e predisporre i sensi a “Burn“, il primo vero capolavoro dell’opera, una “botta” malinconica e intimista che sconvolge con un’esplosione nel refrain da brividi incontenibili.
Con “Holy war” le ambientazioni ritornano a essere maggiormente sbarazzine e vaporose, mentre con il titolo emblematico di “21st Century blues” vi troverete di fronte un R&B avvolgente e sinuoso (forse un solo un pochino troppo lezioso), in aperto contrasto con l’ardore e la catarsi di “Orphan”, un altro momento davvero travolgente sotto il profilo emozionale.
L’epicità e l’ispirato tocco esotico (qualcosa tra Led Zeppelin e Asia) di “Unknown soldier (for Jeffrey)” continua a stimolare impetuosamente l’immaginazione e sono sicuro che gli estimatori dei Toto in versione mainstream riusciranno difficilmente a contenere l’entusiasmo per “The little things” e per la jazz-osa “Chinatown”, due brani in grado di invalidare ogni eventuale addebito negativo assegnato al concetto di soft-rock.
Avete presente quando da bambini osservavate il cielo e vi chiedevate di che sostanza fossero fatte le nuvole? Ascoltare l’eterea “All the tears that shine” evocherà proprio quella sensazione, “Fortune” vi condurrà invece nei sobborghi notturni del funky, del soul e del blues e “Great expectations”, beh, è una sontuosa manifestazione di sfarzosa inventiva, con la band che si traveste a tratti da Doobie Brothers e da Yes per poi tornare a essere assoluta protagonista di un modo inconfondibile di proporre arte sonora.
Alla fine “qualche” parola l’ho trovata, e quindi non mi dilungherò ulteriormente, consegnandovi la ferma convinzione che “Toto XIV” ha tutte le peculiarità necessarie a perpetuare la leggenda dei Toto anche nel terzo millennio, sostenendo il sempre improbo confronto con il “passato” e puntando dritto verso il “futuro” con l’effige di un modello (quasi) impossibile da emulare.

P.S. proprio nel momento in cui scrivo arriva la triste notizia che Mike Porcaro, storico membro dl gruppo, ha perso la sua lunga battaglia con la sclerosi laterale amiotrofica … grazie di tutto, buon viaggio e sit tibi terra levis
Recensione a cura di Marco Aimasso

Ultime opinioni dei lettori

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 23 mar 2015 alle 14:20

Qualcosa di impressionante. Come dice il recensore mettono in riga praticamente tutti i più grandi nomi moderni in campo melodic rock. Classe, sontuosità, melodia e perizia tecnica a livelli assoluti.

Inserito il 20 mar 2015 alle 13:19

Sono felicissimo di trovare conferma nell'ottimo Marco delle buone impressioni percepite con gli ultimi due assaggi in rete. Che altro aggiungere? Da acquistare en seguida!!!

Inserito il 20 mar 2015 alle 12:37

...album grandioso!! il migliore di questo inizio d'anno!!

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