Non è sicuramente un'impresa agevole poter parlare di questo disco di Jim Capaldi: quando si affronta un musicista e songwriter straordinario, dal passato artistico così importante, è molto facile essere portati ad analizzare un nuovo prodotto discografico avendo troppo presenti le entusiasmanti esibizioni che ha saputo regalare al pubblico e sull'onda dell'emozione che queste ultime sono state in grado di suscitare, non riuscire ad avere la necessaria obiettività.
Quest'aspetto, poi, è ulteriormente complicato da un evento improvviso che tristemente spazza via qualunque altra considerazione, ma di certo non aiuta l'oggettività dell'analisi ... Jim se n'è andato, a 60 anni, dopo una vita di musica, stroncato da un tumore allo stomaco.
"Poor boy blue" assume quindi un significato nuovo, l'epitaffio di un artista carismatico ed elegante, che in condivisione con Steve Winwood (proveniente dai successi dello Spencer Davis Group e di "Gimme some lovin'"), costituì quella sontuosa entità denominata Traffic (ricordiamo anche i co-fondatori Dave Mason alle chitarre e Chris Wood al sax e flauto, nonché l'importante contributo di Rick Grech e Jim Gordon) la quale, attraverso dischi bellissimi, aveva dato un nuovo significato alla contaminazione, toccando rock progressivo, soul, r'n'b', psichedelia, beat dei '60, sfumature jazz, folk, con un'abilità, una grandezza nella scrittura ed una creatività che li rendono ancora oggi attuali e li consegnano alla storia come vere (e riconosciute) pietre miliari del rock.
Non millanterò profonda e "antica" conoscenza di questo gruppo ... in realtà ho imparato ad apprezzarli in tempi abbastanza recenti, ma sono bastati pochi ascolti di "Mr. Fantasy", del live "Welcome to the canteen" e soprattutto del mitico "John Barleycorn must die" a farmi amare questa grande band (e pensare che tutto nasce da una raccolta acquistata quasi per caso).
I fasti (e anche qualche piccola caduta di tono) dei Traffic non sono bastati all'incontenibile estro e urgenza comunicativa del drummer e vocalist Nicola James Capaldi (di chiare origine italiane), che avvierà la propria carriera solista in parallelo a quella di quel gruppo (l'esordio in questa veste, "Oh how we danced", è del '72), proseguendola lungo ben undici albums (da menzionare, tra gli altri, "Living on the outside" del 2001 per la presenza di Steve Winwood, Gary Moore, Ian Paice, Paul Weller e George Harrison) e che lo ha condotto, inoltre, a collaborare con nomi importanti del music biz (Eric Clapton - il famoso concerto del Rainbow che segnò il suo ritorno sulle scene - Eagles, Paul Kossof e molti altri).
"Poor boy blue" è quindi il dodicesimo album "solo" di Capaldi, nel quale si rinnova la cooperazione con il partner di sempre Winwood e quella più recente (almeno così pare, visto che la copia promozionale non specifica nel dettaglio la line-up) con Moore (ad occuparsi con Mick Dolan delle chitarre) e il disco appare subito parecchio lontano dalle genialità dei Traffic, pur mantenendo una certa propensione alla mescolanza dei generi così cara a quell'esperienza.
In questo caso il linguaggio è quello del blues 'n' roll della scalpitante title-track e di "Long legs", del rock ricercato ai confini dell'A.O.R. di "Edge of love" (non lontana da Don Henley) e "Secrets in the dark", del groove pulsante di modern soul di "Into the void", del power-pop danzereccio di "Breathless" (un po'"indigesto" con i suoi accenni rap), dei vaghi richiami "etnici" di "Getting stronger" (che può rammentare certe cose di Peter Gabriel), delle atmosfere notturne di "California sunset", delle seduzioni acustiche di "Bright fighter" e della breve "I've been changing" o ancora della melodia incalzante di "Now is the time", a comporre una tela dai colori ora tenui ora più sgargianti, ma quasi sempre (a parte qualche eccesso di "leggerezza") abbastanza attraente per l'orecchio.
Un lavoro indiscutibilmente di classe, vario e studiato nella scelta dei suoni di quel rock ad ampio spettro in grado di soddisfare ascoltatori non troppo intransigenti e liberi da smisurate aspettative.
Credo (o almeno spero) che questo giudizio non sia stato influenzato dalla nostalgia, dalla drammaticità dei recenti eventi luttuosi ed aver fornito un buon servizio all'ultimo (ma immagino che ci potranno essere quasi sicuramente i "classici" riciclaggi postumi) disco di Jim Capaldi, un artista vero, che non ha avuto paura del trascorrere del tempo, cercando, a suo modo, d'interpretare le evoluzioni musicali, senza rimanere schiavo di un curriculum così rilevante, denotando coraggio, voglia di sperimentare ed esponendosi, in questo modo, a possibili critiche.
I cd dei Traffic sono in buona parte in edizione economica e questo "Poor boy blue" è da poco tempo nei negozi; le possibilità di approfondire la conoscenza delle sfaccettature del suo talento sono quindi agevolmente fruibili ... chissà che alcune di queste non possano diventare "galeotte" anche per qualcuno dei lettori di Eutk!