Nel rock la spregiudicatezza, gli eccessi e una sorta di presunzione sono sempre stati elementi essenziali per fare il grande salto e passare da semplice garage band a gruppo di un certo livello, su questo non ci sono dubbi. Quando però si esagera, si rischia di fare solo figuracce. Ed è, in un certo senso, il caso degli
Skip Rock, band crucca che approda, con questo “Take it or leave it” al secondo album in studio e che si salva, fortunatamente, in calcio d’angolo. Se leggete la biografia scritta dal loro leader Marc Terry, infatti, sembra quasi di trovarsi al cospetto degli
AC/DC tedeschi, invece la realtà è ben altra. Nonostante l’album sia veramente una figata e si lasci ascoltare che è una bellezza, gli Skip Rock non vanno oltre lo status di opener band, di band da motoraduno (dove la loro proposta è assolutamente azzeccata), di quarantenni che sanno sì fare bene il loro mestiere, ma che non usciranno mai dall’anonimato, nonostante qualche concerto azzeccato qua e là e un discreto seguito di fans.
Sì, perché il famoso salto di cui sopra i nostri non l’hanno ancora compiuto, e dubito lo compiranno mai, nonostante, ripeto, le capacità di scrivere pezzi accattivanti, riferiti soprattutto a chi nel rock cerca l’immediatezza, il riffone prepotente, il refrain canticchiabile, e che alla prima scala dissonante inizia a sentire mal di testa. Per questo parlavo dei motoraduni, dove l’ascoltatore medio (sì, proprio i ‘cattivissimi’ bikers) riesce ad apprezzare senza dubbio la proposta schietta e diretta dei nostri. Rock semplice e sudato, immaginate il classico quartetto tutto jeans, pelle, Jack Daniels e birra, gente ubriaca sotto il palco, e magari qualche Harley che romba in lontananza.
Non a caso parlo di bikers… Se avete guardato la serie
Sons Of Anarchy ne avrete senz’altro apprezzato le musiche, ad opera per lo più di
Curtis Stigers and the Forest Rangers e dei
White Buffalo. Ebbene, le similitudini con i tedeschi e con questo “Take it or leave it” sono davvero molte, quindi quintalate di rock, spruzzate southern rock (e se calcoliamo che i nostri vengono dalla Germania la cosa è quanto meno singolare!), l’immancabile blues sanguigno e delicati intermezzi acustici, questo è quanto troverete tra i solchi dell’album. Difficile rimanere indifferenti dinanzi all’irriverenza di brani come “Death or glory”, “Rich ‘n’ nazty”, “Jesse James” (un titolo un programma) o la titletrack, e sarebbe senz’altro bello verificare dal vivo la bontà di questi brani e le capacità dei nostri al di fuori delle quattro mura di uno studio di registrazione. Mai dire mai, potrebbe sempre capitare in qualche festival sperduto…
Quindi, come già detto, niente di epocale o che rimarrà negli annali della storia del rock. Ma se questa estate avete caldo, prendete una bella birra ghiacciata, spalancate le finestre, sparate a palla le casse dello stereo e passerete un’oretta davvero devastante, con buona pace del vostro vicinato…
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