Costruito mattone dopo mattone sulla base della consapevolezza che qui nessuno ha più nulla da dimostrare,
"Voice Of Rebellion" porta avanti orgoglioso quel discorso lineare e privo di compromessi avviato ormai 24 anni or sono da
Gary Meskil, che con i suoi
Pro Pain ha dato vita ad una delle realtà più longeve ed influenti della scena hardcore mondiale. Ecco quindi che il quindicesimo lavoro in studio di questi veterani newyorkesi va ad abbracciare quel discorso facilmente spendibile per
Ac/Dc,
Motorhead e per tutti quei gruppi che hanno fatto della coerenza la loro bandiera: nulla di nuovo all'orizzonte, voglia di sperimentare tendente allo zero, ma chi ne ha sempre apprezzato l'attitudine, la voglia di andare "contro", certe sonorità abrasive e quelle liriche costantemente all'attacco, potrà avvicinarsi a
"Voice Of Rebellion" ad occhi chiusi, certo di avere tra le mani un disco che soddisferà a pieno le proprie aspettative. Giunto a due anni di distanza dal precedente
"The Final Revolution" del quale, sia da un punto di vista lirico che compositivo il nuovo lavoro vuole essere la naturale prosecuzione, questo disco scaglia contro l'ascoltatore, come una tremenda sventagliata di mitra, 14 brani senza troppi fronzoli nè concessioni a quella melodia che oggi pare indispensabile tra le nuove leve HC, inni furiosi che ancora una volta attingono a piene mani da quel post-thrash imbastardito dal disagio dei bassifondi di New York che negli anni è divenuto marchio di fabbrica dei Pro Pain, marchiati a fuoco dalla voce di Meskil che, incurante degli anni, continua a sputare dentro al microfono la sua rabbia primordiale. E proprio la brutale performance del buon Gary, unita a quegli inconfondibili riff sparati a raffica e a una batteria fragorosa è ingrediente fondamentale per la buona riuscita di un disco che fila via liscio e diritto dall'inizio alla fine. Difficile individuare un hightlight in questo lavoro, proprio per la natura monolitica dello stesso. La rabbia con la quale i Pro Pain aggrediscono l'ascoltatore con l'opener
"Voice Of Rebellion" è devastante, amplificata da una produzione estremamente "muscolosa", ma non cala in intensità neppure nelle varie
"No Fly Zone" (nella sua ripetitività ha tutti i crismi per diventare un vero inno in chiave live), "
Righteous Annihilation", nella punkeggiante "
Take It To The Grave" sino alla conclusiva "
Fuck This Life", sotto tutti i punti di vista chiusura ideale di un album che, con i tempi che corrono, potrebbe rappresentare davvero un'ottima valvola di sfogo nonchè mezzo per urlare al vento tutta la propria rabbia. E motivi per avercene, se ci guardiamo attorno, ne abbiamo davvero tanti.
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