La ATMF da la possibilità agli scozzesi
Haar di esordire per una etichetta discografica ristampando
"The Wayward Ceremony", auto prodotto dalla band di Edinburgo lo scorso anno dopo che i Nostri avevano rilasciato, sempre in maniera indipendente, due EP, uno nel 2010 e l'altro nel 2012.
La musica degli
Haar è piuttosto complessa risultando, quindi, di difficile classificazione: prima di tutto siamo al cospetto di brani lunghi, anche sopra i dieci minuti, all'interno dei quali gli umori e le traiettorie sonore variano costantemente seguendo, in ogni caso, una logica di fondo che li rende coerenti e poco dispersivi, poi, sebbene il genere entro il quale delimitare l'album sia il black metal, è evidente come pulsioni progressive, intuizioni ai limiti dell'avantguarde, momenti "liquidi" ed atmosfere oniriche si alternino alla ruvidità della componente più estrema del suono degli albionici.
Se volessimo trovare un punto di riferimento alla proposta degli
Haar, sarebbe opportuno citare band come
Ved Buens Ende,
Virus, i
Deathspell Omega più recenti o i conterranei
Akercocke, sebbene, cosa che va sottolineata, la qualità generale è a nostro avviso lontana dai modelli ispiratori.
Gli
Haar, infatti, pur disponendo di un'ottima tecnica strumentale e di indubbie capacità in fase di arrangiamento, non riescono ad incidere canzoni efficaci, dotate, cioè, di quel "qualcosa" che le faccia emergere e le renda emozionanti come dovrebbe accadere alla "buona" musica.
La sensazione che si prova ascoltando
"The Wayward Ceremony" è quella di essere al cospetto di uno sterile esercizio di stile nel quale, validi musicisti si cimentano in riffing sempre in mutazione, ritmiche in costante divenire, accelerazioni nordiche alternate, come ricordavamo prima, a momenti atmosferici, senza purtroppo far scoccare la scintilla del vero piacere.
Ora, non escludiamo che questo album possa avere i suoi estimatori: un brano come
"Sow the Seeds of Decimation", ad esempio, ha partiture di grande spessore e, in generale, la musica degli
Haar è comunque "idonea" ai palati fini e a coloro che, anche nell'estremo, cercano capacità tecniche, ma, parere del tutto personale, credo che il gruppo non abbia centrato il suo obiettivo, soprattutto perchè non sembra proprio averne uno di obiettivo...
In conclusione, ritengo che la ATMF abbia comunque fatto bene ad investire sugli scozzesi perchè essi costituiscono un unicum nel rooster della etichetta ed hanno del talento che, lo spero per loro, possa emergere nel futuro, regalandoci album di migliore fattura.
Come sempre in questi casi: aspettiamo fiduciosi.
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