Nel 2006 "The Dark Third" fece molto scalpore (a mio avviso pure troppo) con il suo progressive di maniera dove si dava spazio alle voci e alle atmosfere pink-floydiane. Personalmente nemmeno immaginavo che i
PRR arrivassero al secondo disco (alla storia ne hanno lasciati 3 prima di sciogliersi). Che la band “trasudasse britannicità” era palese, ma un cambio di rotta così deciso da sconcertare pure i fan della prima ora non se l’aspettava davvero nessuno. Paul Northfield (Gentle Giant, Porcupine Tree e Queensryche tra gli altri) ci mette del suo per sfornare un surrogato di concept-album sul tema dell’amore (la frase “Did you feel loved? Did you ever burn Avalon?” ricorrerà spesso nelle liriche) con abbondante uso di sintetizzatori, voci filtrate ed elettronica in genere. Le premesse per una boiata pazzesca c’erano tutte, e invece? E invece eccoci di fronte a una bellissima sorpresa. “Deus Ex Machina” è la sintesi di un sound nuovo, fresco, che parte dai cori simil-beatlesiani, attinge dal prog degli anni Settanta e incontra i Depeche Mode a spasso con i Muse (insomma più “british” di così si muore). L’impatto non è da meno nell’iniziale “Les Mahleurs”, in “Victorious Cupid” e nella conclusiva “AVO”. Il disco, nei suoi 45 minuti, appartiene a quella rarissima categoria di album dove “una canzone in più ci sarebbe stata”. E se alla fine di un CD ti viene da pensare “ancora, ancora!” vuol dire che chi l’ha scritto ha fatto centro.
A cura di Gabriele Marangoni
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?