E’ obiettivamente sempre più arduo districarsi in un panorama musicale
underground ormai davvero costipato e livellato, ma se apprezzate le peculiarità del
rock (in) italiano, il mio modesto suggerimento è di non sottovalutare le possibilità comunicative di questi
Ad Majora, quartetto sardo dalle solide dotazioni tecniche, capace di offrire agli estimatori del genere un prodotto assai coinvolgente e appagante.
Con un bagaglio ispirativo che attinge a piene mani alla nobile storia del
prog italico, i nostri si avvicinano per modalità interpretative a quanto realizzato dai grandi Timoria, una formazione sicuramente molto importante e seminale nell’ambito del settore.
Una similitudine abbastanza evidente (soprattutto nelle cadenze
Renghiane della bella voce di Massimiliano Murtas) e tuttavia non eccessivamente invadente, anche grazie a una capacità di scrittura assai persuasiva e a una linea espressiva piuttosto variegata e definita, pregna di una spiccata propensione melodica, in grado altresì di non soffocare l’energia.
Un impianto lirico in madrelingua solido e mai banale nell’esposizione di esperienze e sentimenti contribuisce fattivamente alla riuscita di un albo che irrompe con le chitarre pesanti e distorte (al limite del
prog-metal!) di “Proverò a dimenticare”, per passare con disinvoltura alle inflessioni alla Simple Minds di “Solo un’ora” e alle digressioni
reggae di “Paradisi perduti”, il tutto senza perdere di vista efficacia emotiva e piacevolezza armonica.
“Imperfetta” è un gioiellino sonico pulsante e suggestivo (ottimo il solo di Emilio Moricio), “Finta allucinazione” è magnetica e ariosa, mentre la languida “Nuova noia”, nonostante una buona prova vocale e un bel contrappunto ritmico, sconta qualche eccessiva leziosità.
Parecchio intensa ed emozionante appare, poi, “Giovane età”, e se con la schizoide “Labirinto” gli Ad Majora riprendono a “picchiare” sodo, non male si presentano pure la melodrammatica “Il viaggio” (con un’altra
performance di rilievo del chitarrista) e la scanzonata “Ossa” (in cui tornano le influenze vagamente
new-wave), due buoni esempi di discreta versatilità e buongusto.
Un gruppo interessante, dunque, che, onorando il suo
monicker e risolvendo qualche piccola attuale ingenuità, ha tutti i mezzi per svincolarsi dalla massa convulsa del “popolo delle cantine”.
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