C’erano una volta un messicano, un americano e un italiano…detta così sembra l’inizio di una barzelletta, in realtà è solo l’inizio dei
Grieving Mirth, band che si colloca a Nuova Laredo, città al confine con il Texas, in quella parte del Messico dove i narcos fanno migliaia di omicidi l’anno e dettano legge, e dove è nato uno dei
capi dei famigerati
Los Zetas.
Dico questo perché ciò potrebbe essere lo spunto per capire come possa in una zona così assolata e calda nascere una band black metal che, sebbene non così glaciale e ferale come i colleghi scandinavi, dà comunque alle stampe un disco violento e atmosferico al tempo stesso, e impreziosito dai testi in italiano, davvero molto belli, del singer DH.
Voglio partire dalla fine, da quella “
Abuso” che è davvero una piccola gemma, dove musica e parole si fondono in una sorta di sinfonia del dolore, con aperture melodiche da brividi alternate a sfuriate laceranti.
L’iniziale “
Malaugurio” è un viaggio disperato nella nera depressione, canzone dall’incedere ferale, che sotto la coltre brutale lascia intravedere bagliori di spleen.
“
Indelectatus” ripropone la formula vincente dell’alternanza di parti brutali ad altre atmosferiche, con una scelta tastieristica davvero azzeccata, che, quando si lascia trascinare dalle chitarre, dà al pezzo un mood quasi shoegaze.
“
Optio” è pervasa da concetti magico/alchemici, progressiva, melanconica, eppure violenta. Un’altra piccola gemma.
Non resta che citare “
Mille Facce”, un pezzo che si avvicina agli
Alcest di “
Ecailles De Lune”, al netto del testo che parla dell’abisso della dipendenza dall’eroina.
Cosa dire infine? Fossi in voi terrei d’occhio questa band perché quanto fatto ascoltare in questo "
Calamitosus Omine" è assolutamente notevole.
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