Alcuni gruppi sembrano destinati a essere “sottovalutati” … formazioni di grande valore ed esperienza che anche quando vengono apprezzate, finiscono poi per essere date quasi “per scontate”, forse per quell'atavica bramosia di “nuovo” che fatalmente affligge il
musicofilo.
Per quanto mi riguarda (e ho idea di essere in buona compagnia …) i
Praying Mantis sono da annoverare proprio tra queste
band, molto affidabili e competenti, che difficilmente deludono e che allo stesso modo sarà alquanto improbabile riservino grandi “sorprese”.
Beh, sarebbe un errore madornale considerare “Legacy” “solo” un altro episodio di pregio in una discografia, soprattutto negli ultimi periodi, piuttosto lineare, un prodotto da acquistare una volta esaurita la lista delle tante fantomatiche “new sensation” che il
business musicale ci propina ogni giorno e magari pure quella delle celebrità “di ritorno” maggiormente
trendy.
Era già parecchio tempo che un disco della
Mantide albionica non mi procurava emozioni così intense (non vorrei fare paragoni espliciti, e tuttavia vi basti sapere che mi sono venute addirittura in mente le sensazioni provate ai tempi degli Stratus … e i
fans mi avranno già capito!), che ogni brano di un loro
platter mi riservava continue stimolazioni sensoriali.
Con l’innesto del duo olandese John Cuijpers (Ayreon, Cooper Inc., C.T.P.) alla voce e Hans in ‘t Zandt (Vengeance, Bangalore Choir, Cooper Inc., Mad Max, Chinawhite) alla batteria, i fratelli Troy hanno evidentemente ritrovato la vitalità compositiva e interpretativa dei tempi migliori, coadiuvati ancora una volta dalla chitarra sensibile di Andy Burgess, confermato dopo le ottime prove evidenziate nel passato più recente dei nostri.
Non c’è un brano del programma che non conquisti l’attenzione, non uno che si possa trascurare sotto il profilo dell’intensità espressiva e della diffusione emotiva.
Lo stile privilegiato è ovviamente quello dell’
hard melodico pomposo ed evocativo (una “roba” tra Rainbow e Magnum, per i neofiti), di un tipo, però, che non dimentica la sua nobile filiazione di natura
NWOBHM (e qui potemmo citare Omega e Saracen, per fornire qualche utile spunto “d’indagine” ai
rockofili meno smaliziati), realizzando un’opera equilibrata e variegata oltre che, lo ripeto, assolutamente priva di controindicazioni.
I sostenitori dei suoni maggiormente cromati potranno dissetarsi alla fonte dell’epica “Fight for your honour”, dell’incalzante “The runner” e della potente “Second time around”, chi adora vedere i propri sensi blanditi da sonorità
AOR troverà grande conforto nei gioiellini “The one”, “Believable” (veramente splendida!) e "All I see”, mentre a beneficio dei cultori di suoni più sinfonici ed esotici i britannici offrono le atmosfere (comunque sempre abbastanza Rainbow-
iane) di “Tokyo”, con un Cuijpers (una sorta d’interpolazione timbrica tra Dio, Tony Martin e qualcosa di Ian Astbury) sugli scudi.
Rimanere impassibili di fronte all’enfasi ombrosa e appassionata di “Better man” raccomanda la visita da un bravo psicoterapeuta (disturbi nella sfera emozionale?), “Eyes of a child” unisce grinta e melodia come pochi sanno fare e il
pathos magniloquente e le armonizzazioni di “Against the world” e dell’irresistibile "Fallen angel” procurano continui brividi di soddisfazione, praticamente impossibili da arginare.
Un’eccellente resa sonora e l’
artwork affidato all’illustre Rodney Matthews (Magnum, Diamond Head, Allen/Lande, nonché autore delle grafiche per gli storici “Time tells no lies” e “Predator in disguise”, di fronte ai quali, tanto per,
ehm, continuare a
non fare scomodi confronti, questo lavoro non sfigura per nulla …) arrivano a completare l’elenco dei motivi per cui questo “Legacy” deve assolutamente fare parte della vostra preziosa collezione.
Non male per uno dei
loser più celebri della
NWOBHM …