Ci sono dischi la cui recensione può essere redatta quasi a “cuor leggero”, avendone compreso (o illudendosi averlo fatto …) l’essenza fin dai primi ascolti e in cui il problema maggiore è poi “solo” di tradurre in parole un’immagine emozionale piuttosto nitida.
In altre circostanze, invece, l’incisione ti lascia talmente “turbato” da non riuscire agevolmente a focalizzare le emozioni, ed ecco che in questi casi la loro traslitterazione in scrittura diventa veramente un’impresa.
E badate bene, qui non si parla di concetti come “innovazione” o “creatività” o per meglio dire non solo di quelli … il nocciolo della questione è l’impatto sensoriale che indipendentemente dalla sua imprevedibilità una produzione musicale è in grado di trasmettere.
Che la disamina di “Sabbatai Zevi” dei
Witchfield mi avrebbe messo in difficoltà era abbastanza prevedibile: già il loro debutto “Sleepless” (impreziosito dalla presenza, tra gli altri, del compianto Clive Jones di fama Black Widow e Agony Bag) aveva destato in questo “maturo” estimatore del
dark-sound italico sensazioni intense e frastagliate, ma qui diciamo pure che l’effetto straniamento si è addirittura accentuato.
Thomas Hand Chaste,
deus ex machina del gruppo, dall’alto del suo nobile albero genealogico (Death SS, Paul Chain Violet Theatre, Sancta Sanctorum), è riuscito veramente a “sorprendermi” con un albo che plasma la materia che l’ha reso celebre con stile obliquo e visionario, ampliando i confini del pur brillante debutto e focalizzando in maniera più precisa gli ascendenti
new-wave e
psych di un tracciato sonoro di grande suggestione.
Merito suo, di una funzionale selezione di ospiti (Giovanni “John Goldfinch” Cardellino dell’Impero delle Ombre, confermato dopo l’ottima prova del debutto, Red Crotalo dei Revenge, Pietro Pellegrini degli Alphataurus, Tiziana Radis dei Secret Tales, Nicola “Cynar” Rossi dei Doomraiser, Frederick Dope degli stessi Sancta Sanctorum, sono solo alcuni dei preziosi coadiutori dell’ex “lupo mannaro”), apparentemente molto “coinvolta”, e di una densissima propulsione ispirativa, traente spunto dalla controversa e rivoluzionaria figura del mistico ottomano (Sabbatai Zevi, appunto, messia e apostata della religione ebraica, uno dei teorici della cosiddetta “via della mano sinistra”) a cui è dedicata l’intera opera.
La matrice esoterica si sublima attraverso un reticolo di suoni terribilmente fascinosi, che incorpora peculiari revisioni di ciò che hanno prodotto Black Sabbath, The Doors, Captain Beyond, Siouxie And The Banshees, Atomic Rooster, Necromandus, Christian Death, Goblin e le trasfigura in una sorta di “cerimonia sacrale” che inizia con l’inesorabile scansione del tempo e l’evocativa voce di Romolo Scodavolpe, protagoniste dell’
intro “Vertigo”, e s’interrompe soltanto quando le ultime note dell’ipnotica “Falling star”, marchiate dalla maliosa interpretazione di Tiziana Radis, lasciano l’astante in un profondo senso d’inquietudine.
Tra gli estremi, la straordinaria liturgia sciamanica di “Living on trees”, una sepolcrale e torva
title-track, le tenebrose ricerche
gothic-prog (!) di “Continent” (con la laringe della Radis in evidenza … per chi scrive una vera scoperta …), la tensione tangibile della scurissima “I feel the pain”, le facoltà magnetiche della torbida e decadente “Walk” (con un ottimo Runal al microfono) e ancora la solenne e liquida “Heart of soldier”, disegnano panorami sonici capaci di celebrare la “storia” di Thomas senza perdersi in superficiali riletture.
Ad “aguzzare la vista”, all’appello manca “Make up your mind”, che decido d’isolare poiché apparentemente (l’avverbio non è casuale, però …) un po’ avulsa dal clima complessivo e soprattutto perché dimostra (al pari di “Black widow” di Alice Cooper, nel primo
Cd) come una
cover (dei
cult-heroes Quatermass) possa diventare nelle ”mani giuste” l’ennesima occasione di ostentare un temperamento non comune.
Dopo il ritorno degli Strange Here, un altro frammento di splendida “arte nera”
made in Italy, lontana dagli stereotipi e dalla retorica, guarda caso proposta da un “veterano” del settore … una generazione di musicisti cresciuti in un’aura artistica davvero conturbante e carismatica. Ieri come oggi.