Ok, posso darvene atto: dopo sei dischi, i
Vreid non hanno ancora dato alle stampe un autentico capolavoro. Qualcosa, per dire, che si assesti sui livelli di eccellenza assoluta di “
Arntor” dei
Windir, precedente incarnazione della band sino al giorno in cui il compianto
Valfar passò a miglior (?) vita.
D’altro canto, va anche ricordato che la compagine norvegese non ha ancora cannato -perdonate la gergalità- una singola uscita discografica, dimostrando un livello di ispirazione, una solidità di songwriting ed una costanza pressoché impareggiabili.
il neonato “
Sólverv” (solstizio) ricalca alla perfezione lo schema di cui sopra: non passerà agli annali come un caposaldo inarrivabile, ma sono convinto abbia tutto il necessario per venir considerato l’ennesimo, ottimo disco di metal estremo.
Come sempre, quando si tratta della band di
Sogndal, appare preferibile parlare di metal estremo in senso ampio, tenuto conto delle molte influenze da cui essa attinge:
death,
folk,
pagan,
N.W.O.B.H.M,
classic,
black 'n roll, il tutto fuso in crogiolo tanto denso quanto esaltante.
Eppure, in occasione del settimo full length, bollare la proposta dei Nostri con una più spiccia etichetta “
black metal” costituirebbe esercizio meno inaccurato del solito.
Si badi: le sonorità sopra citate non sono scomparse nel nulla; eppure, il loro peso specifico esce inevitabilmente svilito di fronte al gelido incipit di “
Haust” o all’attacco combinato di riff in tremolo e blast beat che percorre la
title track e la conclusiva, torrenziale “
Fridom Med Daudens Lang”.
Proprio in questo trittico, tra l’altro, individuerei i punti più alti del platter, mentre non hanno suscitato il medesimo entusiasmo “
Geitaskadl” (la quale, tuttavia, si riscatta con un finale in chiaro crescendo), “
Når Byane Brenn” (appesantita dal alcuni passaggi inessenziali), e “
Storm Frå Vest” (nonostante l’ottimo lavoro svolto dal chitarrista
Strom).
A proposito: come sempre di buon livello la prestazione dei musicisti coinvolti, con una nota di merito per il bassista
Hváll (anche principale compositore), davvero in grado di donare al
Vreid-sound una dimensione e uno spessore preclusi a buona parte della concorrenza -si senta, ad esempio, la porzione strumentale di “
Ætti Sitt Fjedl”-.
Condivisibili, infine, le scelte di produzione, confluite in un amalgama sonoro che definirei genuino, equilibrato e per nulla artefatto.
Ne esce un lavoro di indubbio pregio, magari un pelo inferiore ai migliori (personalmente voto
Milorg, e anche
Welcome Farewell mi era piaciuto tantissimo), ma comunque capace di abbinare sostanza e qualità e di giostrare le coordinate stilistiche senza stravolgerle.
Il povero
Giorgio Faletti ebbe a dire che “
le certezze non sono di questo mondo. E quelle poche quasi sempre sono negative”.
Ecco, i
Vreid costituiscono una dolce eccezione all’assunto.
Garanzia.
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