Il copyright della locuzione latina “
Nemo Propheta In Patria”, se non erro, appartiene nientemeno che a
Gesù Cristo. Sembra quindi corretto che proprio una band chiamata
Anathema (scomunica della Chiesa ai danni di eretici e scismatici) si prodighi per sfatare l’assunto.
Come?
Registrando un live album, in qualche modo celebrativo di un’intera carriera, praticamente sotto la porta di casa.
Questo è, come lo stesso titolo suggerisce, “
A Sort of Homecoming”: la testimonianza del concerto che i Nostri hanno tenuto lo scorso sette marzo nella
Cattedrale Anglicana di
Liverpool, al termine di un intero tour acustico in giro per le chiese della
Perfida Albione.
Occasione troppo ghiotta per non immettere sul mercato un nuovo home video… oppure no? Volendo malignare a tutti i costi, si potrebbe rilevare come di live album degli
Anathema ne esistessero già diversi, alcuni dei quali anche recenti.
Ci accingiamo quindi ad analizzare l’ennesimo certificato di eccellenza di una band straordinaria o, piuttosto, una trascurabile e ridondante operazione commerciale?
Seguitate dunque nella lettura, scoprendo così che la verità, molto spesso, risiede nel mezzo…
Packaging:
Niente male: tanto la foto che campeggia in copertina quanto quelle inserite nel booklet donano alla confezione un fascino sobrio eppur vibrante (sembro il nostro ex Presidente della Repubblica), invogliandoci senz’altro ad inserire il dischettino nel lettore blu ray -o dvd-…
Video:
Primo passo falso. In tutta onesta, credo sia lecito attendersi di più da un blu ray del 2015 che testimonia di un concerto filmato nel medesimo anno.
Il grado di definizione, invece, si assesta su livelli di mera sufficienza, con una grana sin troppo distinguibile e una profondità del nero che non può soddisfare. Quest’ultimo difetto, considerato che la location dello show e le immagini in generale variano dallo scuro al molto scuro, acquisisce un peso specifico tutt’altro che indifferente.
Sotto il profilo registico non si segnalano picchi né cadute di tono:
Lasse Hoile, che aveva già collaborato con la compagine britannica in passato, opta per uno stile compassato, forse parco in termini di dinamismo ma di certo lungi dai montaggi schizofrenici e dalle inquadrature stravaganti che inficiano troppi live video odierni, garantendo al girato un’impronta elegante ed intima che ben si sposa col feeling espresso dalla musica.
Audio:
Anche in questo comparto, come si suol dire, bene ma non benissimo.
Christer-Andre Cederberg, già dietro la consolle in occasione dell’ultimo
full length, svolge un lavoro egregio in termini di produzione, ma a mio avviso commette una leggerezza in fase di mixing, accordando eccessiva predominanza alle vocals dei due cantanti, spesso troppo frontali ed esposte rispetto al tessuto strumentale.
Tessuto strumentale che peraltro, come vedremo a breve, non necessitava affatto di venir sminuito ulteriormente…
Concerto:
Il discorso è semplice: la discografia dei Nostri può da tempo venir considerata un autentico caveau zeppo di brani stupendi, ragion per cui bisognerebbe addirittura sforzarsi per assemblare una scaletta inadeguata.
Per fortuna ciò non accade in “
A Sort of Homecoming”: come potete leggere nell’elenco alla vostra destra, la selezione dei pezzi è accorta e priva di veri e propri scivoloni.
Semmai si può discutere sulle scelte di arrangiamento, che troppo spesso optano per una riproposizione in formazione ridotta in cui è solo la chitarra acustica di
Daniel ad accompagnare le voci di
Lee e
Vincent.
La decisione, seppur affascinante sotto il profilo teorico, non sempre paga dividendi al riscontro pratico: la svolta minimale del sound, infatti, rende le canzoni troppo spoglie, andando così a comprimere l’afflato emotivo delle melodie. Credo che soffermarsi sulle versioni “nude” di “
The Lost Song Part II” e “
Dreaming Light” -una delle mie preferite in assoluto, tra l’altro- possa chiarire il concetto più di mille sproloqui del sottoscritto.
Molto meglio, a mio umile avviso, quando giunge in aiuto la fanteria, composta dal resto della band (eccezion fatta per il drummer
Daniel Cardoso), e dai guest
David Wesling (violoncello) e
Anna Phoebe (violino).
Ecco che, grazie ad accompagnamenti orchestrali tanto sontuosi quanto lontani da ogni pacchianeria, pezzi recenti come “
Anathema” e “
Ariel”, che non mi avevano convinto del tutto nella versione da studio, acquisiscono in questa sede uno spessore e una portata emozionale davvero ragguardevoli.
Si prosegue così di classico in classico -eccezion fatta per “
Distant Satellites” che, al contrario delle succitate colleghe d’album, continua a lasciarmi perplessa-, passando per una versione da pelle d’oca di “
A Natural Disaster” (con ogni probabilità l’highlight assoluto dell’intero show) e concludendo con "
Fragile Dreams", meraviglioso canto del cigno di uno show non perfetto, ma suggestivo e toccante come solo gli
Anathema sanno essere.
Extra:
Mi raccomando, non sprechiamoci troppo!
No photogallery, no interviste ai membri della band, no chicche per fans. Giusto 13 minuti di dietro le quinte, peraltro non necessariamente imperdibili.
Dire che si poteva fare di meglio suona quasi eufemistico.
Giudizio complessivo:
Gli
Anathema, tanto per esser chiari, sono un gruppo favoloso, e “
A Sort of Homecoming” lo conferma una volta ancora.
Ciò detto, spiace constatare come alcune pecche nel comparto audio/video, unitamente ad una sezione extra oltremodo scarna, finiscano per svilire un prodotto altrimenti apprezzabilissimo, pur con le già evidenziate riserve circa la resa di alcuni brani in chiave acustica.
Gli appassionati procedano comunque all’acquisto; gli altri, forse, farebbero bene a dirottare le attenzioni su “
Universal”, per quanto mi riguarda la miglior testimonianza live della compagine di
Liverpool ad oggi.