Ultimamente, le tempistiche in casa
Rammstein paiono essersi dilatate a dismisura.
Ciò che è peggio, per supplire all’impigrimento -forse sarebbe più corretto parlare di stallo creativo?- del sestetto non sono stati forniti diversivi efficaci: con riguardo alla band madre, bisogna accontentarsi di un
best of del 2011 che porta, quale striminzita dote, un solo inedito ("
Mein Land"). Nemmeno coi progetti paralleli siamo andati benissimo: l’impura unione tra
Lindemann e
Peter Tägtgren ha generato un pargoletto, “
Skills in Pills”, sciocchino anzichenò; ancor più trascurabile -per non dire proprio brutto- “
Silent So Long”, secondo album degli
Emigrate di
Richard Z. Kruspe.
Fortuna che il 25 settembre è uscito il nuovo live dvd…
Già, ma forse “nuovo” non è l’aggettivo più calzante: parliamo delle registrazioni di un concerto risalente all’11 dicembre 2010 (!), cui viene affiancato, in veste di extra, il
Making Of di “
Liebe Ist Für Alle Da”, disco rilasciato nel 2009 (!!).
Tempistiche dilatate, dicevamo.
Sarà valsa la pena di attendere così a lungo per “
Rammstein in Amerika”?
Riusciranno almeno loro, dopo lo scandalo
Volkswagen, a tenere alta e sventolante la bandiera teutonica?
Di seguito il mio umile -e più possibile imparziale- parere di fan dall’ormai remoto 1997…
Premesse storicheDesidero prevenire sin d'ora i soliti, tediosi dubbi circa l’opportunità di una simile operazione commerciale (da fedele dei
Maiden ci sono abituato). Lo so: non parliamo del primo show dei
Rammstein immortalato dalle telecamere, e forse non tutti gli esseri umani al mondo sentivano l’insopprimibile esigenza di un loro nuovo
live dvd; d’altro canto, non realizzare un
home video (si dice ancora?) per una data di siffatta rilevanza sarebbe stato addirittura folle.
Parliamo di una esibizione tenutasi in una delle venue più affascinanti dell’emisfero occidentale, il
Madison Square Garden; si tratta della prima data dei tedeschi sul suolo U.S.A. dopo ben dieci anni di assenza; gli oltre 18.000 biglietti sono stati spazzolati in poco più di 25 minuti.
Un autentico trionfo, il pinnacolo di un’intera carriera, la definitiva consacrazione -non solo in termini di popolarità, ma anche di spessore artistico- di una band lontana anni luce dalle raggelanti tendenze musicali in voga oltreoceano.
Spero ciò basti ad estinguere eventuali focolai di polemica.
PackagingDavvero splendido; d’altronde, sotto questo profilo i
Rammstein non deludono mai.
L’artwork, lo sfondo argentato, la confezione, il booklet, si presentano agli occhi dell’acquirente in modo tanto stiloso (perdonate l’orrido termine, ma qui calza a pennello) quanto accattivante.
Pur nella mia uggiosa eterosessualità, ho molto apprezzato le fotografie scattate ai Nostri: di schiena, mentre contemplano suggestivi paesaggi del continente americano… nudi come mamma li ha fatti. Natiche a go go.
VideoPremessa: l’analisi che segue si basa sulla visione del formato
blu ray che, come saprete, si pone un gradino sopra rispetto agli obsoleti
dvd -fonti nerd mi riferiscono che ormai siano obsoleti anche i
blu ray non
Ultra HD, ma ne ho acquistati troppi per ammetterlo-.
Bisogna dirlo: gustarsi lo spettacolo con un maestoso televisore 65 pollici (consiglio da amico: quando valutate pro e contro del matrimonio, ricordatevi di inserire la lista nozze nel novero della prima categoria) costituisce un bel bonus. Ma anche sorvolando sul mio gretto materialismo maschilista non si può negare che, sotto questo profilo, sia stato svolto un lavoro egregio.
La qualità video in senso stretto, infatti, è formalmente inattaccabile: addirittura un potenziale limite, quale l’ambiente molto scuro del
Madison, si tramuta in punto di forza, ponendo ancor più in risalto giochi di luce, effetti speciali e pyro che di volta in volta animano il palco. I colori risultano vivi senza sfociare in una saturazione eccessiva, mentre la pulizia dell’immagine si mantiene sempre su livelli ragguardevoli.
Sotto il profilo registico, invece, qualche piccolo rilievo critico sembra corretto muoverlo.
Hannes Rossacher aveva a disposizione 14 telecamere per filmare il concerto, e temo si sia fatto prendere un po’ la mano. Il montaggio è sovente vorticoso, mentre i continui cambi d’inquadratura portano alle conseguenze che chiunque può immaginare: grande dinamismo, resa invidiabile nei momenti più concitati, ma nel contempo un pelo di confusione e poca accortezza nell’enfatizzare i passaggi strumentali più significativi dei singoli musicisti.
Altro difettuccio: un uso forse eccessivo dei primi piani sul pur carismatico
Till.
I ben informati narrano che, alla base del notevole ritardo con cui “
In Amerika” è stato rilasciato, vi siano problematiche legate proprio alla qualità delle immagini e del montaggio, il che avrebbe reso necessario l’utilizzo di numerosi spezzoni video filmati in altri concerti del medesimo tour.
In tutta onestà, non so se ciò risponda o meno a verità; ad ogni modo, prima che qualcuno s’infervori e gridi allo scandalo, sottolineo che si tratta di una pratica piuttosto comune, soprattutto fra le band con un minimo di budget (esempio su tutti: i già citati
Iron Maiden, partendo dal “
Live After Death” per arrivare a “
En Vivo!”).
Certo, capisco che la consapevolezza del taglia e cuci possa diluire il livello di immedesimazione dello spettatore e di coesione dell’esperienza visiva; d’altra parte, quando il collage è ben fatto e migliora la qualità complessiva delle riprese ben venga, no?
AudioBeh, a costo di risultare pedante tocca ripetermi: rivalutate l’istituto giuridico del matrimonio. È sempre grazie ad esso che posso godermi il concerto con un possente
Home Theater 5.1 in grado di dopare non poco surround e profondità del comparto audio.
In ogni caso, “
In Amerika” funzionerà alla grande su qualsiasi impianto: il mixing è impeccabile, e gli strumenti escono roboanti e nitidi al tempo stesso. Peccato per qualche sporadico passaggio sonoro meno brillante di altri e per lo scarso rilievo concesso al pubblico (salvo qualche coro, che si staglia in modo sospetto), ma nulla per cui valga la pena lagnarsi.
SetlistNon serve un fine pensatore per individuare il discrimine di gradimento di una scaletta fortemente liebeistfüralleda-centrica: se la svolta metallica impressa da quell’album vi aveva lasciato freddini, lo stesso potrebbe accadervi con il live video in esame. Se invece, come il sottoscritto, ancor oggi adorate il sesto full length dei berlinesi, non potrete che godere per le numerose tracce da esso estrapolate.
Ad ogni buon conto non mancano nemmeno i classiconi, anche se io le strappalacrime “
Mutter” e “
Ohne Dich” non le terrei mai fuori…
Prestazione dei musicistiChiunque abbia assistito ad un concerto dei
Rammstein sa di che razza di live performer stiamo parlando. Magari non potremo definirli dei funamboli dei rispettivi strumenti, ma la professionalità, la potenza e la compattezza delle loro esibizioni ha pochi eguali nel panorama odierno.
L’esibizione al
Madison non fa eccezione, fatta salva qualche sbavatura vocale di
Till che, comunque, viene ampiamente compensata dalla sua timbrica unica e dal suo straordinario magnetismo. In ogni caso il vero eroe, come sostengo da una vita, è
Flake.
Voto al primo dischetto:
8Documentary: Rammstein In AmerikaIniziamo da una mesta conferma: l’Italia, nello spietato mondo dei sottotitoli, gode di scarsissima considerazione. Così, se non masticate tedesco, inglese, spagnolo, francese, cinese, portoghese o russo, mettete in conto qualche difficoltà aggiuntiva nella comprensione del documentario.
Gli altri, invece, si preparino a due ore di grande libidine.
La narrazione parte da lontano, andando a ripescare impagabili spezzoni che ritraggono le prime esperienze musicali in una
Berlino ancora divisa dal famigerato muro. Scopriamo così un background sociale davvero particolare, respirando le plumbee atmosfere della
Cortina di Ferro e facendoci contagiare dall’insopprimibile brama di ribellione che emerge dai concerti della punk band
Feeling B, in cui militavano tre membri della line up.
Assistiamo poi, spalleggiati da una voce femminile fuoricampo e dai ricordi degli stessi protagonisti, alla fondazione del gruppo e all’insperata breccia nel mercato statunitense, per la quale si deve ringraziare l’inserimento di “
Rammstein” (la canzone) nella colonna sonora di
Strade Perdute/Lost Highway, criptica pellicola di
David Lynch.
Da quel germoglio d’interesse cresce una scommessa che pare persa in partenza: può una industrial metal band che canta in tedesco, composta da sei individui che non spiccicano una sola parola d’inglese, sfondare nella Terra delle opportunità?
La risposta, come ovvio, è un tonante sì.
Ma non è stato affatto facile.
Il divieto di usare effetti pirotecnici a
Chicago -più o meno è come se in un concerto dei
Van Halen proibissero ad
Eddie di eseguire assoli-, l’arresto di
Till e
Flake per gesti osceni sul palco a
Worcester -evito di esprimere la mia opinione sul bigottismo di matrice repubblicana, altrimenti mettono in gattabuia pure me-, l’ostilità dei fan dei
Kiss per quel gruppo spalla così diverso dai loro beniamini truccati, l’estrema difficoltà nel farsi comprendere da colleghi musicisti, fans, organizzatori, lo sgomento di fronte al bieco attentato alle Torri Gemelle…
D’altra parte, tutti gli ostacoli che
Paul Landers e soci hanno dovuto superare per imporsi nel mercato a stelle e strisce devono aver reso il raggiungimento del traguardo ancor più dolce.
Il contagioso singolo “
Du Hast” passato in heavy rotation su radio ed
MTV, il
Family Values Tour con
Korn e -gli inascoltabili, insopportabili, inaccettabili-
Limp Bizkit e, da ultimo, quel fulmineo
sold out al
Madison di cui narravamo, ripagano di tanti anni di gavetta e frustrazione, proiettando i Nostri in una dimensione solitamente riservata a realtà musicali ben più accessibili e mainstream.
Ad ulteriore conferma della considerazione di cui i
Rammstein godono oltreoceano intervengono i numerosi attestati di stima delle celebrità intervistate: da
Iggy Pop a
Kiefer Sutherland, da
Scott Ian a
Chad Smith, da
Moby a
Marilyn Manson, tutti con buone parole da spendere.
Peana a parte, non si esagera mai sul fronte dell’autocelebrazione: il taglio rimane sostanzialmente documentaristico e moderatamente apologetico. Meno male.
Mia moglie sostiene che alla fin fine manchi un po’ di “succo” -traduzione: dietro le quinte, aneddoti, confessioni, turpitudini, sconcerie etc.- e forse non ha tutti i torti, anche se alcuni momenti di backstage sapranno strapparvi più di un sorriso.
Da parte mia, poi, ho trovato qualche sfilacciatura nell’ordito narrativo, il quale, soprattutto nella seconda metà, smarrisce la strada maestra e finisce per indugiare troppo a lungo su accadimenti non proprio attinenti (la rima non è voluta).
Dato atto di queste lievi falle, ci troviamo davvero di fronte ad un documentario ricchissimo, interessante e ben confezionato.
Genau!
Making of Liebe Ist Fűr Alle DaLa chiusura del secondo
blu ray è affidata a un piccolo (circa venti minuti) cortometraggio che ripercorre i giorni spesi dai Nostri negli studi di registrazione in
California.
Si tratta di un gradito complemento ai contenuti sopra analizzati, e nulla più: alcune interviste sono presenti anche nel documentario “
In Amerika”; non sempre le testimonianze si rivelano memorabili -quelle dell’ingegnere del suono
Florian Ammon in particolare, ma con quel berretto sarebbe stato comunque difficile risultare credibili-; si tratta con ogni probabilità di una operazione che giunge fuori tempo massimo, visto che si sofferma sulla genesi di un disco sì bellissimo, ma privo di statura e peso storico tali da giustificare una retrospettiva di tal fatta.
Però la casa sull’albero in cui dormiva il bassista
Oliver Riedel durante le
recording sessions è splendida, il sogno di ogni bambino.
Voto al secondo dischetto:
7,5ConclusioniPresumo che solo pochi siano giunti sino a questo punto nella lettura, e suppongo inoltre che -escludendo temerari e masochisti- quei pochi siano tutti fans della band teutonica.
Quindi, cosa aspettate? Accaparratevi quanto prima questo doppio
blu ray/dvd, e godetevi un live show spettacolare come pochi e un documentario oltremodo succulento.
A temerari e masochisti suggerisco invece di non scartare a priori un eventuale acquisto: vedi mai che non sia proprio “
In Amerika” a farvi infine apprezzare quella che, a mio modesto avviso, rimane una delle migliori band degli ultimi vent’anni...
Rammstein
Ein Weg
Ein Ziel
Ein Motiv
Rammstein
Eine Richtung
Ein Gefühl
Aus Fleisch und Blut
Ein Kollektiv