Ho sempre nutrito una profonda simpatia per i gruppi metal sud americani, quelli di nicchia, perché hanno sempre dimostrato un’attitudine immensa e un attaccamento all’underground come pochi altri nel mondo. Spesso a tutto questo non è corrisposto un valore intrinseco altrettanto alto, e mi sono trovato davanti ad album che un po’ facevano sorridere.
Non è il caso, però, dei
Blizzard Hunter, provenienti da Lima, Perù, che oltre all’attitudine spiccata di cui parlavo poco fa hanno dalla loro anche una notevole perizia tecnica e compositiva che rende convincente il loro speed metal/thrash. Assolutamente derivativi, questo si, riescono però comunque a comporre brani semplici, diretti, e dai refrain memorabili, come la titletrack di questo album, il loro primo full length. I punti di riferimento sono i classici, da una parte, quindi Agent Steel ed Exiter, ma soprattutto i tedeschi Sacred Steel e i nostrani Sabotage (sì, proprio loro…). La copertina, poi, è un chiaro omaggio (o plagio?) a “
Death or glory” degli Heavy Load, quindi come avrete potuto capire ci si muovo in un ambito che più classico non si può…
Come già detto prima la forza dei nostri sta nel riuscire, nella semplicità dei brani, a creare riff e melodie vocali che colpiscono fin dal primo ascolto, e si piantano nel cervello come un tarlo. “
Heavy metal to the vein" ne è l’esempio lampante, e sono sicuro che sia diventato già uno dei loro cavalli di battaglia in sede live, oltre che un piccolo inno underground dello speed metal. La struttura delle canzoni non è mai complessa, scorre via lineare e senza particolari sussulti seguendo la classica sequenza strofa/ritornello/assolo/strofa/ritornello. Banale dite voi? Forse sì, ma quando i brani funzionano, personalmente me ne frego, perché quello che conta, per me, è che l’album si faccia ascoltare con piacere. Ed è proprio questo il caso...
Ottimo il lavoro svolto da
Lucho Sanchez e
Wild Rocker alle sei corde, sia in fase di riffing, semplice ma efficace, sia in fase solista, con assoli dallo spiccato gusto melodico, anche se la parte del leone la fa proprio
Dragon, in possesso di una voce alta e sottile che molte similitudini ha con quella di
Gerrit P. Muts dei già citati Sacred Steel, con il quale condivide anche la capacità di creare buone linee melodiche e testi oscuri a sfondo epico.
Insomma, pur non essendo un capolavoro, questo è il classico disco che mi rimette in pace col mondo e in particolare con il NOSTRO mondo, quello del metal, troppo spesso struprato da band inutili e da influenze talmente avulse dal contesto che definire fastidiose è fare un complimento. Ben vengano gruppi come i
Blizzard Hunter e album come “
Heavy metal to the vein”, che mantengono vivo il vero spirito metal e un certo modo di intendere il genere musicale più bello di sempre…