Mentre in Europa cominciavano a farsi sentire i primi “cali” di produzioni (e soprattutto vendite) progressive, preludio all’esplosione del punk, in America alcune band, che al sound del Vecchio Continente dovevano moltissimo, davano il meglio di sé. Il 1976 italo/britannico, in particolare, è un anno decisamente piatto: Peter Gabriel ha da poco abbandonato i Genesis (che senza di lui hanno comunque pubblicato i notevoli
“A Trick of the Tail” e
“Wind & Wurthering”), la PFM ha perso (non in senso letterale!) quella punta di diamante che è Mauro Pagani, e gli ultra-prolifici “mostri sacri” come ELP, Yes e Pink Floyd hanno lasciato i fan a bocca asciutta rinunciando a nuove uscite. I
Kansas, osannati in patria, sono meno noti al pubblico italiano (mi risulta che abbiano fatto una comparsata nel 2005 e basta, non vorrei sbagliarmi) e si potrebbero considerare una specie di “PFM all’americana”. Questa affermazione è supportata dalla massiccia presenza del violino di
Robby Steinhardt (un Mauro Pagani d’oltreoceano) e dalla densissima tessitura strumentale (in particolare tastieristica) di
Steve Walsh,
Kerry Livgren (autore del 90% dei brani) e
Phil Ehart, a loro modo paragonabili ai “nostri” Flavio Premoli, Franco Mussida e Franz di Cioccio.
“Leftoverture” è l’apice artistico, insieme al successivo
“Point of Know Return”, del combo americano, e spazia da momenti più heavy (l’hit-single
“Carry On Wayward Son”), ad altri più romantici (
“The Wall”, plagiata dai Dream Theater in più di un’occasione, la più sfacciata delle quali è la coda di
“Octavarium”) ed epici (
“Cheyenne Anthem”, con il suo coro di bambini, e la conclusiva
“Magnum Opus”). Gli echi sono assolutamente quelli del miglior progressive europeo (segnalo, tra le altre cose, un tour di supporto ai Queen in quegli anni), i
Kansas semplicemente lo filtrano con perizia fino a farlo apprezzare anche ai propri compatrioti (da questo punto di vista rimando alla loro
“Song for America” che non è però presente in questo disco) intuendo addirittura quello che sarà il futuro del rock statunitense a tinte AOR/Pomp (Styx & Co. per capirci). Chi apprezza buona musica ben suonata e ben prodotta, con qualche momento puramente strumentale di tanto in tanto, non potrà non apprezzare questo disco e questa band.