Un album che ha diviso pubblico e critica, decisamente inaspettato all’epoca dell’uscita ma a mio avviso invecchiato molto bene. Dopo il successo (annunciato) del precedente “Ritual” e del conseguente tour (immortalato nel cd/dvd “Ritualive”), la band degli ex-Angra André Matos, Ricardo Confessori e Luis Mariutti si prende una doverosa pausa per elaborare nuove idee e decidere che direzione prendere. Gli inserti “etno-power-pseudo-sinfonici”, ormai un trademark consolidato del combo carioca, in questi anni sono abbastanza ordinari e non stupiscono più anche a causa della “concorrenza” di altre band dal sound paragonabile (Angra in primis, ma non solo). Matos e soci si lanciano allora in un’avventura più heavy/rock e meno metal, più suonata e meno arrangiata (gli inserti sinfonici e tastieristici sono ridotti all’osso), nella speranza di ritagliarsi uno spazio in un periodo davvero saturo di gruppi power (chi sopravvivrà al 2005 avrà lunga vita, gli altri ahimè se ne torneranno a casa). L’impresa secondo me riesce: brani come l’introduttiva “Turn Away” (forse la più “cattiva” del disco), la successiva “Reason” (progressiva al punto giusto) e il singolo “Innocence” (che sembra uscito dal sopraccitato “Ritual”) sono ottimi esempi di “visione lungimirante” per una band dal passato a dir poco “ingombrante”. Peccato che il pubblico non condivida questo mio pensiero e l’album, di fatto, fa un enorme buco nell’acqua, tanto da convincere Matos e i fratelli Mariutti a mollare gli
Shaman qualche mese dopo la pubblicazione. Matos proseguirà una carriera solista (tra alti e bassi) coadiuvato dai fratelli Mariutti in veste di semplici turnisti mentre Confessori tenterà di rilanciare il marchio Shaman con nuovi compagni d’avventura dopo un breve, ma probabilmente redditizio, “ritorno di fiamma” con gli Angra. Come direbbe Homer Simpson: “D’oh!”.
A cura di Gabriele Marangoni
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