Da qualche tempo mi sono prefisso l’obiettivo di dare un po’ di spazio a tutti quei personaggi nel mondo del rock che vengono ricordati per il “lavoro sporco” fatto per altri e quasi mai per i propri contributi artistici in veste di autori. Oggi è la volta di
John Wesley, cresciuto come secondo chitarrista/corista sui palchi di band del calibro di Marillion e Porcupine Tree, musicista raffinato, sicuramente non virtuoso (o quanto meno non lo ha mai dato a vedere), dal suono caldissimo e corposo. Tanto “gustoso” sul fronte elettrico quanto su quello acustico,
“Disconnect”, a oggi l’ultimo lavoro dell’americano, ha nell’equilibrio di tutta una serie di elementi la sua arma vincente: songwriting e arrangiamenti ineccepibili (si ascoltino
“Any Old Saint” o
“New Life Old Sweat”), ritornelli efficaci ma non banali (
“Mary Will”), assoli mai prolissi o fini a sé stessi (
“How Goes The War”), produzione “grassa” che di più non si più (
“Take What You Need” ne è un ottimo esempio), cambi d’atmosfera dal sapore progressivo (
“Satellite”) e, ciliegina sulla torta, un’ospitata di lusso (un certo
Alex Lifeson, nell’ottima
“Once A Warrior”). La voce di Wesley o si ama o si odia, difficilmente ci si limita ad “apprezzarla”, fate un po’ voi, come la penso io è ininfluente. Un altro centro da parte della
InsideOut, lungimirante nell’accaparrarsi quegli artisti che, anche se vivono all’ombra dei “grandi”, hanno qualcosa da dire ma nessuno se li fila. Vivamente consigliato.
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