TRUE.
Potrebbe essere la recensione più breve della storia, ma il succo della faccenda è tutto in quella parola da quattro lettere. I
Rhapsody of Fire ci credono, ci credono in una maniera talmente sfacciata che a volte scivolano nell'ingenuità o nella non necessaria opulenza, così tanto che a volte all'ennesimo passaggio o all'ennesimo ritornello stra-acuto ti viene dal cuore un bel "
eh la madooonna" (da recitarsi in puro stile Renato Pozzetto). Ma è la verità, e c'è poco da girarci attorno.
Il nuovo "
Into the Legend" è, innanzitutto e al netto di tutte le discussioni stilistiche che possiamo fare da qui in avanti, un album Power Metal Sinfonico. E sottolineo,
power metal. Puoi arrangiare, abbellire, orchestrare, chiamare a suonare cori lirici, orchestre intere, usare samples presi da Mordor, ma qui ci sono i ca**o di riffoni, una batteria a seimila all'ora, ritornelli epici da urlare a squarciagola, e tutto quello che un fan del genere si aspetterebbe da un disco del genere.
Poi, parliamoci chiaro e col cuore sul tavolino: in questo disco molte canzoni non mi hanno convinto soprattutto nei ritornelli, molti dei quali rimangono poco in testa; abbiamo perso il concetto di "concept" e abbiamo perso il lentone cantato in italiano (eccezion fatta per alcune parti nella lunga suite conclusiva, "
The Kiss of Light"), ma ci abbiamo guadagnato, semplicemente, una band onesta con se stessa, che suona power metal e che lo fa coi controca**i. Già che siamo nella disamina vera e propria, mi tocca anche raccontarvi di come molte canzoni non abbiano il mordente o il guizzo del fuoriclasse di tanta produzione passata; penso alla drammatica "
Winter's Rain", alla successiva "
A Voice in the Cold Wind" che fa cento punti di epicità ma qualcuno in meno in fruibilità, alla lenta "
Shining Star" che non riesce a reggere il confronto coi lentoni del passato.
Ma, dall'altra parte, sono qui anche a parlarvi di una sberla in faccia come "
Distant Sky", e per favore ascoltate i riff di
Roberto De Micheli e osannatelo/i. Sono qui a raccontarvi di una "
Valley of Shadows" che è forse il brano più bello e coinvolgente del lotto, o della title track, che tira come se non ci fosse un domani, indiscutibilmente e al netto dei gusti personali. Sono qui a parlarvi di un
Fabio Lione oggi maturo e più consapevole, il che nel suo caso significa anche tirare degli acuti assurdi e pulitissimi, come forse mai in passato, ma che sa interpretare, dosare, colorare senza mai perdere le redini del pezzo.
Album in sé altalenante, insomma, con composizioni decisamente più riuscite ed altre che vanno un pò troppo per la tangente, inseguendo un pò troppo l'arrangiamento e meno la struttura-canzone; ma, e a questo punto dovrebbe esservi chiaro il mio pensiero: il tanto temuto
cinematic virus c'è, ma qui è imbrigliato, controllato, fatto esplodere solo se e quando serve.
Scordatevi i fasti del passato, i Rhapsody di "Emerald Sword" non esistono più, non esistono quelle persone, sono cambiate, sono cresciute e mutate, nei gusti e in quello che vogliono da se stesse. Non esiste più la triade Turilli-Staropoli-Lione, e perderne uno NON E' averne ancora i due terzi, ma significa avere una squadra compositiva radicalmente, strutturalmente diversa. Eppure, ancora, al netto di tutto questo, signore e signori, "Into the Legend" è, rimane, vuole a tutti i costi essere, UN ALBUM POWER METAL. Un album, insomma, TRUE.