Non c’è niente da fare … sono ormai “grandicello”, seguo le“questioni” musicali da parecchio e a certe cose dovrei essere abituato, ma non posso proprio evitare di provare un misto di nostalgia e rabbia di fronte a situazioni come queste.
Perché i
Drama non sono noti come i Bonfire, gli Shy o i Fate (nomi a cui, all’epoca degli esordi, furono spesso accostati …)? In fondo, anche i milanesi cercavano di transcodificare il vocabolario dell’
hard melodico
yankee attraverso un gusto espressivo europeo e anche loro, come dimostra il debutto "
Once and for all”, avevano mezzi e attitudine per fare crescere e consolidare un profilo artistico già molto competente e promettente.
E invece no … una breve ed effimera visibilità e poi l’oblio, complice una limitata attività promozionale e il fallimento della MetalMaster, una delle poche etichette che ai tempi ci aveva illuso di poter condurre definitivamente il
metallo italico a quel livello di professionalità che gli competeva.
Con le registrazioni per il nuovo disco pronte, al gruppo meneghino non rimase che attendere un’occasione che non arrivò mai, almeno fino ad ora, grazie ad un’encomiabile attività di recupero attraverso la quale una sempre attenta
Minotauro Records ha perpetrato un autentico “atto di giustizia”.
Ascoltare “
Sink or swim” da un lato accentua l’irritazione per la mancata affermazione e dall’altro consente di apprezzare il valore di un programma concepito alla fine degli anni ottanta e tuttavia fresco e intenso come se fosse stato scritto ieri, testimoniando le capacità non comuni di un quintetto di musicisti che sapeva trattare la “materia” con maestria e sensibilità.
A chi sostiene, in maniera abbastanza condivisibile e legittima, che il genere, in realtà, non ha subito moltissimi “scossoni” stilistici nel corso degli anni, replico rilevando comunque la perizia dei
Drama nel rimanere fedeli alla tradizione pur senza sottomettersi a essa, in un percorso di crescita espressiva che partendo da Bon Jovi, Ratt, Van Halen, Autograph ed Europe stava indirizzandosi verso la costruzione di un
sound capace di sfidare sul loro terreno preferito tali fondamentali numi tutelari.
La chitarra di
Luca Trabanelli (proveniente da Hocculta e Royal Air Force), ficcante e fantasiosa, e la voce stentorea di
Ronnie Alberti (lo ritroveremo nel
supergruppo Iceberg, con membri di Vanadium e Bright Lights, e nei Love Machine di “
The nite” …) rappresentano gli apici di una formazione affiatata ed equilibrata, che rompe subito gli indugi con l’istantaneo contagio
classy trasmesso da “
Headin’ for the heartbreak”, seguito dalla spigliatezza melodica di “
Little dancer” e dalla vagamente Van-Halen-
esca “
Get it on”, intrigante anche nel pizzico di “pacchianeria”
ottantiana che la contraddistingue.
“
Lost inside” solca con enorme efficacia il lato crepuscolare della
band (ottima l’interpretazione di
Alberti), “
More than each other” quello più scanzonato e atletico, mentre “
Last god of war” si offre all’astante, tramite una linea armonica invincibile e il
refrain “a presa rapida”, come un cangiante frammento di energico
techno-AOR.
A chiunque cercasse altre prove del temperamento compositivo dei nostri consiglio poi l’ascolto di “
Far away from home”, uno
slow avvolgente e pregno di tensione emotiva, agli appassionati di grandi melodie ad ampio respiro suggerisco “
Blue lites” e agli estimatori della grinta calibrata raccomando la solida “
Rockin’ years” e la tagliente “
The raiders of the lost cherry”, ulteriori esempi di classe e di una propensione al “sogno americano” di certo non dimesso o semplicistico.
Una riscoperta (una volta tanto …) davvero appassionante e meritevole, impreziosita altresì da una suggestiva (ed emblematica …) veste grafica … se amate questi suoni, deve far parte della vostra collezione, proprio accanto ai lavori di tanti di quegli
chic-rockers britannici, tedeschi e scandinavi ugualmente validi e magari solo un po’ più fortunati (e, forse, scaltri) di questi brillanti
Drama e di parecchi altri “forgotten heroes” del
Belpaese.