Tralasciando -per una volta- i convenevoli partirei da due assunti di base:
- qualsiasi cosa io scriva, chi ha sempre detestato i
The 69 Eyes (e parliamo senza dubbio di una fetta consistente dei fruitori di questo portale) continuerà a farlo anche al termine della lettura;
- anche i più accaniti detrattori dei vampiri di Helsinki dovrebbero riconoscere che, quantomeno, non si sta affatto parlando di una compagine di sprovveduti.
A fornire ulteriore suffragio a quest’ultima affermazione, se mai ve ne fosse bisogno, giunge l’undicesimo (!) album in studio di una band che sa perfettamente ciò che vuole e, cosa ancor più importante, conosce altrettanto bene la strada per ottenerlo.
È stato lo stesso
Jyrki ad individuare le coordinate stilistiche entro cui “
Universal Monsters” si muove: in sede di presentazione, il nostro
Elvis in salsa
dark ha definito il platter una sorta di melting pot tra “
Blessed Be” e “
Paris Kills”, con un impianto sonoro e lirico squisitamente
early ’80s.
Uno sguardo indietro, dunque, per quanto non si registrino affatto strappi stilistici con la recente produzione discografica dei Nostri, da tempo settata sui ben noti canoni
goth’n’roll che i finnici propongono ormai da tempo immemore.
Semmai, si registra una gradita reviviscenza compositiva rispetto ai buoni, ma non buonissimi, “
Back in Blood” (2009) e “
X” (2012); reviviscenza che trae linfa dal mestiere più che dall’ispirazione pura, ma dai
The 69 Eyes versione 2016 sarebbe assurdo pretendere il contrario.
Pertanto, pur non potendo annoverare gemme di struggente decadenza del calibro di “
Feel Berlin”, “
Brandon Lee” o “
The Chair”, il nuovo parto discografico si presenta solido e formalmente inattaccabile.
Penso alle melodie vocali vincenti di “
Lady Darkness” e “
Miss Pastis”, al flavour mistico del mid tempo “
Jerusalem”, o ancora ai due singoli, “
Dolce Vita” -la quale svolge più che egregiamente l’arduo ruolo di opening track - e “
Jet Fighter Plane” -sorta di “
Crashing High” pt. 2, con quei controcori sul ritornello che faranno sentire a casa i fans-.
Al netto della sciapa “
Blackbird Pie” (afflitta da un finale trascinato ben oltre il lecito) e di “
Rock ‘n’ Roll Junkie" (rivedibile sin dal titolo), dunque, ci troviamo di fronte ad una tracklist dalla qualità media più che discreta.
Un aiuto giunge anche dal vecchio amico e producer
Johnny Lee Michaels (dietro la console anche in occasione dei già citati“
Blessed Be” e “
Paris Kills”), come sempre abilissimo nel donar risalto al vocione baritonale di
Jyrki… ma come sempre restio a garantire la giusta profondità alla sezione ritmica, batteria in particolare. Evidentemente a loro va bene così.
Caruccio anche l’artwork fotografico retro-horror a cura di
Ville Juurikkala, che per sovrappiù ha curato la regia del video in calce alla recensione.
Tirando le somme, “
Universal Monster” non delude le attese della vigilia, pur assestandosi un gradino sotto i migliori capitoli dei
The 69 Eyes.
Per il resto valga quanto già scritto in sede di recensione del
Best Of (2015), che di seguito riporto:
“
Che siano ruffiani da far schifo, commerciali sino al midollo, studiati a tavolino per accalorare le ragazzine, antipatici e agghindati in modo discutibile ve lo concedo; al tempo stesso, credo sia corretto conceder loro il merito di aver composto alcune canzoni davvero belle.”
Poi, come sempre, spetta a voi decidere se spogliarvi per 45 minuti della corazza metallica per concedervi un ascolto tanto leggero quanto piacevole.
Il mio umile consiglio l’avrete ormai intuito.