"Darling, you had me here for a while.
It breaks my heart to see you cry.
In the wake of incomplete time.
Darkness overthrows!"
Come tutti i dischi dei
Katatonia, anche il nuovo
"The Fall of Hearts" (l'undicesimo di lunga durata) va ascoltato al buio, magari con la pioggia che scivola sulle foglie degli alberi.
Come tutti i dischi dei
Katatonia potrà piacere o potrà non piacere, ma di esso non si potrà mai dire che non sia un disco dei
Katatonia.
Nel corso degli anni, dall'ormai lontano 1991, gli svedesi hanno creato, lavoro dopo lavoro, un suono personale, unico, immediatamente riconoscibile nella sua patina di melanconia e di sfumature di grigio che ne ammantano l'anima e l'essenza.
Il nuovo parto di questa che vorrei definire "soffice oscurità" non fa eccezione.
In linea con le dichiarazioni di
Anders "Blakkheim" Nyström, rilasciate qualche mese fa,
"The Fall of Hearts" è il lavoro più "prog" e meno immediato finora composto dai Nostri: certo, non stiamo parlando degli Opeth, ma è innegabile che le architetture sonore si siano fatte più complesse, così come le durate dei singoli brani siano aumentate rispetto al recente passato, conferendo in tal modo un sapore per certi versi inedito alla musica del gruppo e rendendo, di conseguenza, necessari molti ascolti prima di entrare in sintonia con essa.
Sicuramente gli echi dei lavori immediatamente precedenti sono evidenti, sia a livello di atmosfere che di songwriting, ma i
Katatonia hanno saputo evolversi, anche forti dell'esperienza acustica del precedente live album
"Sanctitude" (se non lo avete già fatto, andate ad ascoltarlo!), verso forme sonore finora inesplorate, forme all'interno delle quali il metal, comunque sempre presente, viene ad essere solo un aspetto e, certamente, non il principale.
Se, infatti, è vero che le chitarre sanno ancora essere rabbiose ed in grado di caratterizzare i pezzi con i loro inconfondibili intrecci (l'ascolto della sublime
"Serein" a tratti mi ha portato alla mente
"Tonight's Decision" capolavoro del 1999), è altrettanto evidente che, questa volta, gli strumenti acustici, le tastiere, ogni volta sempre più importanti nell'economia generale della musica, e le atmosfere quasi oniriche siano il cuore pulsante dell'album.
Un album che possiamo definire di rock atmosferico, triste, per certi versi alternative, buio e di certo molto intimo come l'inconfondibile cantato di un
Renske sempre più emozionante, un album che non rinuncia ad una buona dose di cattiveria ed a certi passaggi inquietanti (la bellissima
"The Night Subscriber"), ma che resta un lavoro melodico e delicato nelle cui pieghe e nelle cui sofferenze ci si potrà perdere o ci si potrà innamorare.
Qualcuno, immagino, lo troverà noioso, qualcuno ne starà alla larga perchè non ne vedrà i colori più profondi, io, invece, continuerò ad emozionarmi, come sempre, all'ascolto di piccoli tesori come
"Last Song Before the Fade",
"Decima",
"Pale Flag" o la clamorosa
"Old Heart Falls" e sarò sempre in ammirazione di fronte ad un gruppo che ora, e per sempre, ritengo unico per la sua capacità ci colpire il mio animo e le mie emozioni...
Poi ognuno metta in campo i suoi gusti e decida se seguire, o meno, i
Katatonia nel loro viaggio notturno all'inseguimento del significato più profondo di quella cosa che tutti noi definiamo emozione.