“
Dirt” è l’apice della discografia degli
Alice In Chains ed è uno dei capolavori immortali della storia della musica tutta, senza se e senza ma. Nessuna discussione a riguardo, per un disco nel quale l’alchimia vincente Staley/Cantrell viene sublimata dai testi e dalle atmosfere pesanti, depresse, dovute alla conclamata dipendenza dall’eroina di
Layne Staley, ma non solo. All’epoca il batterista
Sean Kinney lottava contro l’alcol, il bassista
Mike Starr era anche lui tossicodipendente (per questo motivo “
Dirt” non ricevette un adeguato supporto dal vivo) e Cantrell era depresso per la morte della madre. Il produttore,
Dave Jerden, narra che durante le session di registrazione a volte Layne si iniettava eroina di fronte a tutti.
“
Dirt” è sporco, è un album fatto da un tossico per i tossici.
L’iniziale “
Them Bones” mette subito in chiaro le cose, un grandissimo pezzo che, al di là dell’andamento decisamente heavy, è un vero inno disperato, sublimato nel testo che a un certo punto fa:
“Toll due bad dream come true
I lie dead gone under red sky
I feel so alone, gonna end up a
Big ole pile of them bones...”
“
Dam That River” è un pezzo veloce, heavy, dal ritornello irresistibile, le chitarre fumano, la ritmica fatca a stargli dietro.
“
Rain When I Die” riprende certe atmosfere morbose di “
Facelift” ma come il precedente pezzo si scioglie in un ritornello ancora una volta catchy e irresistibile, senza tuttavia perdere un briciolo di pesantezza e chitarre groovy. Ancora un testo scritto da Layne:
“Did she call my name?
I think it's gonna rain
When I die”
“
Down In A Hole” è uno degli inni della band, e decisamente uno dei capolavori della musica tutta. Il pacchetto completo, il testo, la musica, le armonie vocali Staley/Cantrell, tutto conduce al sublime, anche se, ancora una volta, il tema è l’inferno personale di Staley e la sua maledetta dipendenza. Un inferno che si fa poesia decadente:
“I'd like to fly but my
Wings have been so denied”
Mentre la pelle d’oca affiora e una lacrima solca il viso, ecco irrompere “
Sickman”, pezzo heavy e disperato, le strofe sembrano tante litanie recitate da Layne, sembra di essere davvero nella mente di un tossico, di un sickman al suo funerale:
“I can see the end is getting near
I won't rest until my head is clear
Ah, what's the difference, I'll die
In this sick world of mine”
Arriva poi il momento di “
Rooster”, dedicata al padre di Cantrell, reduce dal Vietnam. Altro capolavoro assoluto, un pezzo semplicemente perfetto e ormai divenuto leggendario, rispetto al quale qualsiasi parola o aggettivo risulterebbero superflue e scontate. La sola introduzione, con l’arpeggio di chitarra e le armonie vocali, è da brivido.
“
Junkhead” è la canzone che meglio descrive (abbia mai descritto) lo stato d’animo e fisico di un tossico. Forse la più pesante mai scritta dalla band, ha un’atmosfera che potremmo tranquillamente definire doom, sferzata dagli scream di Layne, dal suo grido disperato, dalla ritmica pesantissima, un capolavoro assoluto. Anche in questo caso il testo ci dice molto sulla dipendenza dalla droga, e sono soltanto brividi:
“You can't understand a user's mind
But try, with your books and degrees
If you let yourself go and opened your mind
I'll bet you'd be doing like me
And it ain't so bad”
“
Dirt”, la title-track, è un dialogo di Layne con l’eroina, un suo tentativo di dialogare con la morte e chiederle perché ha scelto lui. Ancora una volta il mood è malato, morboso, disperato:
“You, you are so special
You have the talent to make me feel like dirt
And you, you use your talent to dig me under
And cover me with dirt”
“
God Smack” ci riporta di nuovo nella mente di un tossico, nelle sue sensazioni, con un sottofondo di musica allucinata frutto della funambolica chitarra di Cantrell.
“
Hate To Feel” è preceduta da una intro, “
Iron Gland”, dove alla voce troviamo nientemeno che
Tom Araya degli
Slayer, conosciutisi in tour. La canzone non si discosta dal mood generale del disco e anche musicalmente è cupa, disturbata.
Chiudono il disco altri due capolavori.
“
Angry Chair” è spiritica, esoterica, ancora una volta una discesa negli abissi della desolazione e della disperazione. Testo e musica dipingono ancora una volta scenari da incubo metropolitano, la voce di Layne sembra provenire dall’aldilà, e anche la chitarra di Cantrell assume un mood psichedelico, quasi etereo, ma votato alla dannazione. C’è una linea del testo che meglio di qualsiasi altra cosa descrive lo stato d’animo di Layne, rabbrividite con me:
“Loneliness is not a phase
Field of pain is where I graze
Serenity is far away”
“
Would?” era originariamente compresa nella colonna sonora del film “
Singles” ed è dedicata ad
Andrew Wood, leader dei
Mother Love Bone, anch’egli morto per overdose di eroina. Una canzone dalla stupefacente bellezza, da cantare a squarciagola, il degno epitaffio di un disco leggendario.
“
Dirt” è uno di quei dischi che nascono da una serie di combinazioni, di alchimie, irripetibili, uno di quei dischi dove il talento musicale non basta, dove metti in gioco la tua vita e la sacrifichi per lasciare un segno nella storia, decidendo che sì, è molto meglio bruciare subito che spegnersi lentamente. Tra 100 anni, tra 1000 anni, “
Dirt” sarà ancora lì, una gemma splendente nella storia della musica.