Come probabilmente già sapete sono un grande estimatore del lavoro svolto da
Diego ‘Il Tusco’ Tuscano nella sua ormai piuttosto corposa carriera (Autodistruzione Blues, SanniDei, ElettroCirco, Shanghai Noodle Factory, Fungus, …), ma è mia convinta opinione che con questo suo nuovo disco, che ho avuto la graditissima possibilità di ascoltare in anteprima, il nostro abbia compiuto un importante salto di qualità.
La
partnership con
Luke Smith (
leader della band inglese Ulysses), che, oltre a suonarlo splendidamente con chitarre e tastiere, l’
album l’ha anche prodotto, registrato e
mixato (nei
The Black Glove Studios di Bath), si è rivelata sicuramente molto proficua, fornendo alla miscela di
hard rock,
blues,
soul,
prog e
psichedelia, consolidata specialità di “Casa Tuscano”, un impulso realmente vitale, capace di conferire ulteriore “freschezza” a un
sound ortodosso e tuttavia mai oleografico.
Così, Free, Led Zeppelin, Patto e James Gang diventano sempre di più una “materia” adatta anche a chi magari certe sonorità le ha conosciute solo tramite Rival Sons, Wolfmother e The Temperance Movement, dimostrando ancora una volta come si possa avere il cuore saldamente legato ai “classici” e i piedi ben piantati nel presente del
rock n’ roll.
Il cantato in madrelingua e certe suggestive sfumature armoniche aggiungono la nobile effige de Il Balletto Di Bronzo alla galleria delle influenze, allettando chi ritiene (ed io sono tra questi, se non si era capito …) che la migliore stagione del “pop italiano” rappresenti un’eredità meritevole di essere ricordata e tramandata, soprattutto se poi sono creatività e forza espressiva a contraddistinguere in modo sostanziale l’intera esposizione musicale.
La presenza di due bassi (usati contemporaneamente … plauso speciale a quello di
AleAlle, spesso anche solista) e di una rigogliosa batteria (e qui i complimenti vanno a
Todaro, eccellente anche in veste di
backing vocalist) contribuisce a costruire un
groove pressoché incessante, pilotato, e l’ho già sottolineato, da un enorme lavoro chitarristico, fatto di esecuzioni ficcanti e sensibili, rispettose della tradizione e ciononostante parecchio eclettiche.
Dulcis in fundo, la voce di
Diego, una “roba” che arriva più dall’anima che dai polmoni, che è calda e densa, sa di “antico” e ciononostante non è per nulla banale, che seduce, vibra e interloquisce con l’astante attraverso il suo timbro pastoso e fluido, impegnato a raccontare storie veraci e poetiche, anche quando si tratta di esplorare il versante più “carnale” delle esperienze umane.
Le fluttuazioni di “
Ossessione”, le ambientazioni liquide di “
Pulsazioni”, la granitica catarsi di “
Libero”, e poi ancora le atmosfere avvolgenti e astratte concesse al “
Danzatore nel lurido banco dei pegni”, il magnetismo immediato di “
Babilonia della psiche” e l’avvincente vaporosità acida di “
Giorni perduti” sono le nitide istantanee di uno spirito artistico in grado di rielaborare la “storia” della musica senza intenti fastidiosamente “nostalgici”, celebrando in maniera comunicativa e intraprendente il suo valore universale.
L’ultima annotazione la riservo agli eventuali “addetti ai lavori” all'ascolto … “
Il Tusco feat. Luke Smith” al momento in cui scrivo aspetta un patrocinio discografico che possa aiutarlo a ottenere una sacrosanta “visibilità” … mi auguro davvero non si tratti di una lunga attesa.