La formazione è di quelle “storiche”, ma per una volta non sarà necessario attribuire alla nostalgia o a brandelli di lontana memoria la responsabilità di aspettative tanto elevate. E’, infatti, sufficiente arrivare fino al 2010 e a quel gioiellino di
rock melodico denominato “
Coup de grace” (ai tempi stranamente un po’ sottovalutato dall'esimio collega
Quero su queste stesse colonne …) per comprendere quanto questo
follow-up fosse atteso da moltissimi
chic-rockers sparsi sul globo terracqueo, trepidanti e ben consapevoli delle grosse difficoltà che s’incontrano dopo aver raggiunto tali livelli di eccellenza.
Ebbene, cari raffinati esteti della musica, rilassatevi pure, i
Treat non deludono i loro sostenitori e sfornano un disco assolutamente all’altezza del suo illustre predecessore, dimostrando altresì che pur mantenendo ben saldi i loro principi artistici, sono in grado di intridere il
songwriting di nuove sfumature espressive.
“
Ghost of graceland” è un lavoro che riesce ad evitare il ristagno creativo di molti alfieri del genere, suona fresco e moderno senza rinnegare la blasonata scuola scandinava del settore, colpisce per come coniuga in maniera pressoché ineccepibile armonia, grinta e un pizzico d’inquietudine, conquista grazie ad un programma eseguito con impeccabile competenza, irradiante una classe sfolgorante sotto il profilo compositivo.
Fin dalle atmosfere melodrammatiche e coriacee dell’avvincente
title-track si capisce che qualcosa è “cambiato” nelle soluzioni interpretative della
band, abilissima, poi, nel farsi “riconoscere” grazie ad un
refrain stratosferico, perfetto per essere memorizzato all'istante.
“
I don’t miss the misery” mescola con sorprendente naturalezza squisitezze melodiche e bagliori
post-grunge (con un approccio che mi ha vagamente ricordato i Masquerade di “
Surface of pain” … qualcuno si ricorda di loro?), mentre “
Better the devil you know” appassiona con le sue scalcianti pulsazioni
hard-rock e con un ritornello ancora una volta a “presa rapida”.
Agli animi romantici, che però respingono le sdolcinature eccessive, consiglio, poi, l’ascolto di “
Do your own stunts”, un momento orchestrale dall’enorme
pathos, in splendido equilibrio tra sentimento, appeal “radiofonico” e tensione emotiva.
“
Endangered” è un altro esempio di tipica arte
Treat-
iana adeguata all’
A.D. 2016, la grintosa e accattivante “
Inferno” soddisferà i
fans storici dei nostri, i quali, ne sono certo, finiranno per essere soggiogati pure dall’ombrosità di “
Alien earthlings”, risolta con gusto e fervore dagli invincibili svedesi.
Altre dosi copiose di vibrazioni immediate le assicurano la spigliatezza di “
Nonstop madness” e la massiccia agilità di “
Too late to die young”, laddove un pizzico di superiore attenzione la richiede “
House on fire”, un pezzo che indugia in un clima squisitamente sospeso tra ruffianeria e dramma.
Chiusura in bellezza con la ballata sinfonica “
Together alone”, cantata dal virtuoso
Anders Wikström (capace di ostentare un’innata sensibilità non solo con la sua magica sei corde ...) e con “
Everything to everyone”, un gradevole
mid-tempo dal notevole impatto “commerciale”, attrezzato per fare bene anche in ottica “contemporanea”.
I
Treat tornano con un’opera che cerca e trova inediti spazi d’espressione e rielabora con misura e scintillante ispirazione il nobile
trademark del gruppo … gli eterni “rivali” Europe sono avvisati.