I
Destruction sono sempre stati una certezza, oltre che la punta di diamante di tutto il movimento thrash teutonico, su questo non ci piove. Pionieri negli anni ’80 con una manciata di album maligni e basilari come pochi, dopo la reunion sigillata con l’ottimo
“All Hell breaks loose” hanno dimostrato di avere ancora svariate cartucce da sparare, col capolavoro
“The antichrist” o con gli ottimi
“D.E.V.O.L.U.T.I.O.N.” e
“Spiritual genocide”, anche se gli altri album si assestano in ogni caso su un livello che molte altre band del loro calibro si sognano. È ora la volta del nuovo capitolo, ancora una volta licenziato dalla
Nuclear Blast Records, il qui presente
“Under attack”, e come per i precedenti si tratta soltanto di verificare lo stato di freschezza e spontaneità del materiale, in quanto, come appena detto, il livello qualitativo è assicurato. Quello che negli ultimi anni ha fatto la differenza, infatti, è la stasi compositiva, in alcuni dischi un po’ più marcata in altri decisamente meno, e in questo caso posso affermare senza tema di smentite che ci troviamo decisamente nella seconda ipotesi.
L’album suona fresco come se fosse stato scritto da ventenni pieni di entusiasmo, la composizioni sfilano via senza lasciare feriti, il riffing è ispirato e la voce di
Schmier si staglia sul tutto con una possenza e una ferocia inaudita. Se l’ultimo
“Spiritual genocide” mi aveva fortemente colpito, questo
“Under attack” lo fa forse ancora di più e mi sbalza indietro di qualche anno, come se si trattasse dell’ipotetico successore del masterpiece
“The antichrist”, sia in ottica di songwrtiting sia per l’accattivante copertina, ancora una volta opera dell’artista ungherese Gyula. Dalle parole dello stesso frontman: “It’s fast, it’s catchy and it’s original”.
Vaaver è finalmente parte integrante del sound della band, essendo riuscito a lasciarsi dietro quelle piccole differenze stilistiche che di tanto in tanto saltavano fuori nel suo primo periodo con
Schmier e
Mike, specie in fase live. Il piccolo chitarrista sforna una serie di riff taglienti e dal forte sapore eighties, mentre il corpulento bassista, come già accennato, vomita nelle nostre orecchie, con il suo inconfondibile stile, tonnellate di odio. Sono sicuro che dal vivo brani come la titletrack,
“Dethroned”,
“Pathogenic”,
“Second to one” o
“Stigmatized” faranno la loro porca figura, non intaccheranno la scaletta se affiancate ai vecchi classici e riusciranno a scatenare un discreto pogo sotto il palco.
Quindi, se in Germania da un lato troviamo i Kreator di
Mille che cercano di rincorrere un passato ingombrante senza riuscire però a scrollarsi di dosso del tutto le mire sperimentali, e dall’altro troviamo i Sodom di
Angelripper sì in fase creativa positiva, ma altrettanto lenta a livello di produzione, i
Destruction sono forse quelli che negli ultimi anni si sono dimostrati più costanti e coerenti al proprio stile, riuscendo a pubblicare una manciata di album che se non sempre fanno gridare al miracolo, perlomeno si assestano su livelli più che dignitosi, ma soprattutto riescono a portare avanti un discorso iniziato ormai ben 34 anni fa e proseguito sempre con coerenza. Lunga vita a
Schmier e
Mike, lunga vita ai
Destruction!