Avete presente la serie
Marvel “
What if …” in cui, sfruttando l’espediente della realtà alternativa, s’ipotizzavano, tra le varie circostanze narrative, improbabili incroci fra i protagonisti dei vari fumetti (tipo
cosa sarebbe successo se Spider-Man fosse entrato nei Fantastici 4 …)?
Ebbene, traendo spunto da quell’immaginario, qualora si volesse vagheggiare di una situazione in cui Doors e Uriah Heep avessero deciso di fondersi in un’unica entità, il risultato non sarebbe troppo dissimile da quanto proposto dagli inglesi
Landskap in questo loro “
II”, patrocinato dalla valorosa
label ligure
Black Widow Records.
Detto così a qualcuno potrebbe sembrare una soluzione semplicistica o addirittura parodistica, ma v’invito a scandagliare con attenzione i quarantatré minuti dell’opera … sono certo che rileverete anche voi la densa carica trascendentale e la potente forza espressiva che scorre copiosa in questi solchi, una “roba” che francamente non è facile da simulare o da riprodurre anche quando i modelli sono dei campioni incontrastati della materia.
Ne scaturisce un albo molto coinvolgente, con la voce torbida e seducente di
Jake Harding (tra
Jim Morrison e
Ian Astbury) a farvi da
Cicerone in un universo iridescente e contemplativo, dove le tastiere barocche e liquide di
Kostas Panagiotou avvolgono narcotiche e sinistre, le chitarre di
George Pan fremono tra sogno e incubo e in cui il battito instancabile della sezione ritmica curata da
Caure e da
Westwood rappresenta il cuore pulsante di una creatura sonica sospesa fra dramma e lucida allucinazione.
Ascoltare la sussultante liturgia Sabbath-
iana “
Leave it all behind” (magari a occhi chiusi) equivale a trovarsi catapultati nella brumosa foresta raffigurata sulla copertina del disco, abbandonarsi alla litania sciamanica "
South of no north” vi trasporterà dritti verso le "
Porte della Percezione", mentre “
Through the ash” solca pragmatici territori
hard-rock senza perdere di focalizzazione.
Il viaggio prosegue con la cavalcata strumentale “
Landskap theme”, ficcante ed essenziale e l’animo maggiormente
jazz-prog del gruppo si svela nella successiva “
Tomorrow's ghost”, un tema vellutato e avvolgente, sfruttato in maniera sublime dalla pastosa laringe di
Harding.
Con la torpida e lisergica “
Lazy sundae”, infine, la mente ritorna a espandersi verso i confini del cosmo e risvegliarsi sulla “terra”, al termine del brano, lascia una sensazione abbastanza sgradevole, per fortuna facilmente emendabile con una nuova pressione del tasto
play.
Nella musica dei
Landskap, è innegabile, c’è molta “storia”, e tuttavia l’intensità e la profondità con cui viene trattata riesce a farla arrivare intatta fino ai gangli sensoriali dell’ascoltatore, realizzando quella forma di soggiogamento emotivo che parecchio del
vintage rock contemporaneo non è in grado di garantire.
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