Tra i nomi meno noti, ma dal valore artistico indiscutibile, del panorama pagan black metal mondiale, quello dei
Darkestrah occupa, da sempre, un posto speciale nel mio cuore.
Il gruppo del Kyrgyzstan è sempre stato capace di affascinarmi, al di là della provenienza "esotica", per la sua capacità di unire dolcezza e solennità del folk con il gelo del black metal, il tutto all'interno di un suono immediatamente riconoscibile e, di conseguenza, dannatamente personale.
Il nuovissimo
"Turan", ancora una volta rilasciato da Osmose, nonostante i dubbi che mi avevano attanagliato a causa dell'abbandono della storica vocalist
Kriegtalith, anima con il batterista
Asbath del gruppo, è un album che non fa altro che confermare la particolarità, e la grandezza, di un gruppo la cui vena creativa non accenna ad esaurirsi.
Il già citato leader
Asbath, sulla scia del precedente
"Manas", sembra aver puntato decisamente in direzione della componente epica del proprio songwriting che, di conseguenza, caratterizza fortemente in questo senso il mood dell'album ma, per nostra fortuna, non si è "dimenticato" di dare ampio spazio alle sognanti melodie, pagane fino al midollo, che da sempre connotano la musica dei kirghizi i quali, va da se, non deluderanno i loro sostenitori e non aumenteranno il bacino della propria utenza.
Certamente la scena all'interno della quale su muovono i
Darkestrah risulta essere oltremodo affollata, ma la capacità che hanno questi musicisti di farti vivere la loro musica, di farti sentire la loro passione e di farti emozionare con le straordinarie atmosfere create dagli strumenti elettrici e da quelli squisitamente folk, resta merce rara e preziosa alla quale chiunque ami un determinato modo di intendere il black metal dovrebbe guardare.
"Turan", per coloro i quali non conoscessero il gruppo, è un album estremo: gli elementi folk, sia strumentali che vocali, non sono mai invadenti e sono sempre al servizio dei singoli brani e delle atmosfere, così come lo sono i sottofondi ambient o i delicati arpeggi intelligentemente sparsi lungo il disco, mentre sono i gelidi riff di chitarra, che letteralmente duettano con il vento, le tastiere che definirei "immense" nel loro saper cesellare orizzonti lontani ed oscuri e le laceranti urla del nuovo singer
Merkith (in grado di non far rimpiangere l'illustre predecessore) ad assurgere a veri vessilli di un album dalla bellezza tanto semplice quanto abbagliante, proprio come potrebbe esserlo una devastante tormenta di neve che, improvvisa, da il suo benvenuto ai guerrieri in lotta su un campo di battaglia .
L'ascolto dei sei brani che compongono il disco viene ad essere, per quanto raccontato fino ad ora, un epico viaggio tra boschi e venti alla scoperta di una terra sconosciuta, e per questo misteriosa ed affascinante, come quella di provenienza dei Nostri poichè è proprio il Kyrgyzstan, con i suoi miti ed i suoi eroi, al centro di
"Turan" e della sua splendida musica così elegante nella sua iconoclasta forza dirompente.
Non vi resta, dunque, che partire.
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