Grey, Coleman - Falling With A Thousand Stars And Other Wonders From The House Of Albion

Copertina 4,5

Info

Anno di uscita:2016
Durata:45 min.
Etichetta:Self-Produced

Tracklist

  1. REYNARD THE FOX
  2. SHE MOVED THRO' THE FAIRE
  3. ALISSON GROSS
  4. ROSE IN THE HEATHER
  5. TAMLANE
  6. KING ORFEO
  7. THE ELFIN KNIGHT

Line up

  • Dylan Carlson: guitars

Voto medio utenti

Quello che sto per recensire è un disco di Dylan Carlson, noto ai più per essere stato il fondatore dei seminali Earth, band di Seattle nata nei primi Anni Novanta (dalla città e dal periodo faccio senza dire che musica potessero suonare). Nelle note di copertina il chitarrista scrive "This is England and its United Kingdoms' music, interpreted by drcarlsonalbion, under the direction of Coleman Grey", senza ulteriori precisazioni su chi caspita possa essere questo Coleman Grey nonostante pure la copertina del suddetto album riporti il suo nome. E sul web a riguardo non si trova niente...

Aloni di mistero a parte, "Falling With A Thousand Stars And Other Wonders From The House Of Albion" è (o vorrebbe essere) una raccolta di ballate tradizionali inglesi (che parlano di fate, elfi, cavalieri, streghe, ecc.) reinterpretate in chiave strumentale/folk/elettrica. Bene.

A questo punto farei alcune premesse. Punto 1: un americano che si mette a rifare musica inglese sa in partenza di aver scelto una strada non facile; Punto 2: da quello che ricordo dagli anni del liceo le ballad britanniche erano "famose" per i testi e per le storie che raccontavano più che per le musiche per cui, escludere a priori il testo, è un altro bell'ostacolo da considerare; Punto 3: contare solo ed esclusivamente sulle proprie forze strumentali per dare un senso all'operazione vuol dire avere un'altissima considerazione di sé ed esserne consapevoli.

Andando al punto, i 45 minuti di questo full-length sono di una noia mortale. I sette brani (fatico a chiamarle "composizioni" per la complessiva pochezza strutturale) durano mediamente un'eternità e si basano su un unico (!) accordo (eccezion fatta per l'introduttiva "Reynard The Fox" che ne conta addirittura tre) ripetuto ad libitum su cui il musicista improvvisa più che elaborare quelli che (presumo) dovrebbero essere i temi portanti originali. Le timbriche delle chitarre sono corpose e piacevoli (tra phaser, flanger, effetti synth e atmosfere morriconiane c'è un po' di tutto) ma non bastano a evitare la noia di un ascolto monotono e faticosissimo. Forse un po' di umiltà in più avrebbe aiutato.
Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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