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Burning Rome sono un'altra nuova realtà italiana di tutto rispetto. Nati nel 2014, dopo un breve periodo di rodaggio, i cinque ragazzi di Torino hanno iniziato a scrivere il materiale che sarebbe finito in
"The New Era Begins". Un tour di supporto a Udo Dirkschneider e agli Anvil li ha aiutati a trovare l'affiatamento giusto ed ora eccoli qui a presentarci l'esordio per
Underground Symphony.
L'album (un concept ambientato in un mondo governato dalle scimmie ai tempi dell'Impero Romano) è un concentrato di (brevi) tracce alternative/nu metal che hanno negli Slipknot e figli più o meno legittimi le principali influenze.
"In Hoc Signo Vinces" è un'apertura inquietante e atmosferica, fatta di versi animaleschi e sonorità sinfoniche/elettroniche.
"Silence And Me" (da cui è stato tratto anche un video) si caratterizza per l'incedere marziale di memoria Rammstein della strofa e per un ritornello melodico che potrebbe ricordare i Rage di fine Anni Novanta. Già dal primo brano si intuisce una produzione che non valorizza appieno la voce e che tende a suonare un filo troppo "loud".
"Lonely Boy" è un altro ottimo brano dal ritornello melodico e dallo special azzeccato. Il basso distorto ci introduce a
"Never Never", cinque minuti che profumano ancora di Slipknot e che purtroppo sfumano nel finale.
"The Art Of Bleeding" è un potenziale singolo, semplice e diretto, valorizzato nuovamente da un ritornello a dir poco magnetico.
"Into Shadows" farebbe pensare a qualche evoluzione elettronica ma è solo accennata, e ritorna presto su territori heavy rock più tradizionali. Presenta poche novità
"Who Do You Think We Are" (se non per il bel break terzinato) e lo stesso si può dire per
"The Second Wave" (una specie di lento che alle mie orecchie ha ancora qualcosa dei Rage). Seguono
"The Same Old Story", costruita intorno ai cambi di passo e alle diverse timbriche delle chitarre, e
"Gravity", che brilla per un ottimo assolo di chitarra.
"This Is The Place", nonostante qualche reminiscenza Tool, lascia un po' di amaro in bocca per i cantati non efficacissimi.
Per essere un debutto, sono sicuramente le luci a predominare sulle ombre. Ascoltando il full-length ho notato due aspetti che, in un certo senso, mi hanno fatto abbassare la valutazione complessiva. In primo luogo penso che l'omogeneità della proposta possa essere un'arma a doppio taglio (i brani sono tutti mediamente brevi e tirati): il confine tra coerenza e monotonia è storicamente molto labile, e gli spunti per evolvere il sound già ci sono (elettronica, orchestrazioni, ecc.). Inoltre, ed è un dettaglio legato alla prima nota, ho sentito la mancanza di un vero e proprio "lento" che smorzasse un attimo i toni: sto forse invecchiando io? Detto questo, bravi
Burning Rome.
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