Il secondo “rintocco di campana” discografico firmato
The Order Of Israfel è l’ennesima dimostrazione che nel
doom-metal, un po’ come in tutti i generi molto rigorosi, sono spesso i “dettagli” a fare la differenza.
Gli svedesi hanno tutte le qualità per piacere agli estimatori del genere: vocazione, esperienza e cultura specifica, tecnica, persino il
look … quello che però non mi sembra possiedano è quella “scintilla” nel
songwriting capace di differenziarli dalla massa degli adoratori del
metallo pernicioso, qualcosa che possa farli uscire, pur senza tradire il loro credo, dalle rigide pastoie del
mid-tempo plumbeo e ferale, peculiare e tuttavia alla lunga pure un po’ soporifero.
A dire la verità i nostri ci provano a rendere maggiormente vario il canovaccio stilistico e le piccole digressioni celtiche (sparse qua e là e poi condensate in un brano dal
mood vagamente Jethro Tull-
esco come “
Fallen children”) con cui condiscono i loro monoliti sonici possono rappresentare sicuramente una soluzione intrigante e produttiva, sebbene al momento non sviluppata in maniera particolarmente consistente o “avventurosa”.
“
Red robes” appare, così, un disco piuttosto competente e coerente, eppure leggermente carente nella forza espressiva, anche a causa del cantato abbastanza anonimo di
Tom Sutton (già apprezzato in Night Viper e Church of Misery, oltre che negli ottimi Horisont, e decisamente più convincente e a suo agio nel ruolo di chitarrista …), che si limita a sostenere con mestiere linee armoniche parecchio prevedibili.
Ciò non toglie che i
fans “all’ultimo stadio” di Black Sabbath, Pentagram, Count Raven, Candelmass e Solitude Aeturnus possano trovare in questi oscuri solchi materiale adatto a soddisfare la loro insaziabile sete di “arte nera”, placabile attraverso ponderosi macigni dal titolo “
Staff in the sand”, “
The red robes”, “
In thrall to the sorceress” (bello il
break!) e (guarda un po’…) “
The thirst”, mentre sono convinto che i meno voraci apprezzeranno ancor di più i fascinosi accenni liturgici di “
Von sturmer” e il possente magnetismo dell’eccellente “
Swords to the sky”, una traccia finalmente di livello superiore anche sotto il profilo compositivo, gratificata da un notevole impatto emotivo.
Sorvolando sul tentativo non pienamente riuscito di “accelerazione” denominato “
A shadow in the hills” (con tanto di pleonastica
intro sinfonic-horror-osa), non posso che terminare questa disamina annoverando i
doomsters di Gothenburg tra i tanti valenti gregari del settore, sperando di vederli molto presto aspirare a una posizione di primo piano.