"Memento Mori" è il secondo capitolo di una trilogia (iniziata nel 2013 con
"Lux") legata ai temi della vita e della morte. Gli americani, autori di un alternative metal dalle tinte nu e crossover, riescono a creare un buon equilibrio tra la volontà di "spaccare" e il desiderio di "piacere" al potenziale ascoltatore, grazie a linee vocali estremamente ben congeniate.
Si parte subito in quinta con
"Anonymous", un buon manifesto della proposta del combo: sound "grasso", moderno, orecchiabile, elaborato senza voler strafare e con qualche azzeccata sfumatura cyber.
"Remember We Die" spinge ulteriormente sul fattore groove, con melodie di chiara derivazione mainstream. La successiva
"Zealot" vorrebbe essere, nelle intenzioni, più pesante, ma non ci riesce appieno rimanendo comunque una traccia discreta. Rumori di sala operatoria introducono
"Gravedigger", dove il trattamento delle voci filtrate/pulite rimanda agli anni d'oro degli Slipknot.
"On Point" ricorda sorprendentemente
"Siva" degli Smashing Pumpkins, emanando comunque aroma di grunge. Il breve interludio narrato in italiano
"La Devastante Verità" prelude a
"Sorry Not Sorry", brano dalla componente elettronica più pronunciata e dai morigerati inserti orchestrali che non stonano.
"Eternity", nonostante l'ottimo groove e il ritornello orecchiabilissimo, non risulta fondamentale mentre
"Alive Inside" (dall'introduzione "scippata" ai Megadeth di
"Symphony Of Destruction") si distingue per la gustosa e inaspettata apertura nel ritornello. In
"Inception" convivono pacificamente strofe di memoria Rush, bridge alla Muse e ritornelli "che più americani non si può" di scuola Alter Bridge. L'inutile interludio
"Lucido Somnium" conduce al lento del lotto, la semplice ma non banale
"Say Goodnight".
"Awaken" rimanda al djent nelle "stonature" chitarristiche e presenta un ritornello "in your face" efficace ma non originalissimo. Dopo un altro (e altrettanto inutile) interludio "rumoristico" (
"Ordo Ab Chao") è la volta di
"Brought To Light", traccia scorrevole che però nulla aggiunge e nulla toglie a quanto fin qui sentito.
I quindici brani del full-length sono molto (forse troppo) omogenei tra loro, ma rimangono sicuramente piacevoli e ben scritti. Qualche assolo in più (sempre poco curati in uscite di questo tipo) e un po' più di coraggio nel concepimento delle strutture (non a caso i brani durano pressoché tutti tra i tre e i quattro minuti) potrebbero far diventare i
Gemini Syndrome da "interessanti" a "fondamentali".
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