Ci sono band in grado di emozionare, a prescindere dalla qualità “oggettiva” della musica. Non voglio banalizzare, ma ancora adesso, quando ascolto gli 883 degli anni d’oro, mi viene da canticchiare testi ridicoli (che per motivi a me ignoti, conosco a memoria) battendo a tempo il piedino
(46 pianta larga, ndr).
Per quanto mi riguarda, i
Kansas (lungi da me volerli paragonare a
Max Pezzali e
Mauro Repetto), appartengono a questo (non nutritissimo) manipolo di band in grado di “trasmettere qualcosa”, sempre e comunque. A tutto ciò aggiungiamo pure che, se parliamo di qualità “oggettiva”, con i
Kansas siamo in una botte di ferro…
Mai avrei pensato di avere l’onore (e l’onere) di recensire un nuovo disco di questa meravigliosa e unica formazione progressiva americana, ma eccoci al cospetto dell’inatteso
“The Prelude Implicit”.
Dei membri storici sono rimasti solo il chitarrista
Richard Williams e il batterista
Phil Ehart ed è inutile nascondere che la mancanza di
Steve Walsh e
Kerry Livgren (rispettivamente cantante/tastierista e chitarrista/autore principale degli album più amati degli americani) potrebbe creare imbarazzanti paralleli con il glorioso passato del combo, ma sono lieto di comunicarvi che questo album commuove dalla prima all’ultima nota.
L'apertura è affidata a
"With This Heart", brano AOR dalle tinte sinfoniche con un bel break strumentale del violino.
"Visibility Zero" gioca sul contrasto tra parti strumentali heavy e linee vocali ultra melodiche, mentre in
"The Unsung Heores" si percepiscono echi di
"Hold On", anche se complessivamente l'incedere è più vicino a certe cose dei Journey.
"Rhythm In The Spirit" è dinamica ed elaborata, tra voci filtrate e spunti elettronici, ma suona
Kansas al 100%.
"Refugee" vorrebbe essere una nuova
"Dust In The Wind", piacevole ma non interessantissima, e prelude alla magica
"The Voyage Of Eight Eighteen", traccia lunga ed epicheggiante che rimanda ai fasti di
"Song For America".
"Camouflage" si contamina di hard rock (gli incastri ritmici/melodici mi hanno ricordato i Whitesnake di
"Judgement Day") mentre
"Summer" alterna melodie alla Toto a peripezie strumentali a dir poco funamboliche.
"Crowded Isolation" è una traccia semplice con un bel tiro, melodie efficacissime e un bel solo di synth a impreziosire il tutto. La band ci saluta con un delizioso brano strumentale dalle tinte cinematografiche intitolato
"Section 60", letteralmente da pelle d'oca.
Il voto è simbolico, giusto (almeno credo) riconoscimento di una carriera invidiabile. La classe non ha età. Grazie ai
Kansas per avercelo ricordato ancora una volta.