Un album ogni sei anni non è proprio quello che definirei un ritmo "bruciante" per la prolificità di una band. Eppure i
Throes Of Dawn, nel loro piccolo, pur non essendo musicisti professionisti (nelle interviste ci tengono a sottolineare che hanno "un lavoro vero" e famiglie cui badare) sono giunti al ragguardevole traguardo della sesta release dal 1997 a oggi.
Da quello che ho sentito on-line (e da quanto affermano gli stessi finlandesi), la proposta musicale del combo è molto cambiata nel corso del tempo. Sintetizzando, i
Throes Of Dawn di oggi potrebbero rimandare ai Sentenced del periodo
"The Cold White Light" da una parte e ai Pink Floyd più spacey e atmosferici dall'altra (merito soprattutto nel nuovo tastierista
Henri Andersson). Lo so, sembra incredibile, ma è proprio quello che mi viene da pensare ascoltando questo
"Our Voices Shall Remain".
"Mesmerized" è già sintomatica, da questo punto di vista: introduzione lenta e ipnotica a metà tra doom e psichedelia, chitarrismo di ispirazione gilmouriana, voce che si insinua dopo "solo" quattro minuti, armonie/melodie semplicissime (e quasi banali) e un finale inaspettato e ben congeniato non fanno di certo pensare a un gruppo progressive metal tradizionale.
"We Used To Speak In Colours" ha nell'utilizzo della doppia cassa iniziale l'unico momento di vicinanza all'universo metal propriamente detto di tutto il full-length, prima di un break a suo modo romantico sostenuto dal pianoforte. In
"Lifelines" c'è ancora spazio per certe cellule chitarristiche di scuola Sentenced e per alcuni cromatismi figli di
"Echoes" ma è l'apertura "disperata" centrale a caratterizzare il brano.
"The Understanding" predilige synth dalle timbriche Eighties e le melodie sempre sospese conducono a una coda soffusa che prelude alla titletrack, più lineare e vagamente heavy nel finale.
"One Of Us Is Missing" è un interessante pezzo in 6/4, dove udiamo Rhodes, cori dal colore Sixties, mellotron e un sorprendente ma azzeccato sax (suonato dal cantante
Henri Koivula). Il finale è lasciato alla lunga ed elaborata
"The Black Wreath Of Mind", un concentrato ulteriormente diluito di tutto ciò che abbiamo ascoltato fin qui (sax incluso).
Band del secolo? Non penso proprio, ma questo album, nonostante la durata, scorre complessivamente "bene" senza veri e propri cali di tensione, per cui non si può che promuoverlo. Aspettiamo di capire cosa succederà da qui ai prossimi sei anni...
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